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Costringere la Russia a far saltare il tavolo: gli attentati del 1° giugno

2025-06-03 18:00

Filippo Bovo

Costringere la Russia a far saltare il tavolo: gli attentati del 1° giugno

Lo scorso 1° giugno cinque gravi attentati hanno colpito la Russia, colpendo gli aeroporti di Olenya, Belaya, Diaghilev, Ivanovo e Ukrainsk. Soltanto

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Lo scorso 1° giugno cinque gravi attentati hanno colpito la Russia, colpendo gli aeroporti di Olenya, Belaya, Diaghilev, Ivanovo e Ukrainsk. Soltanto la notte prima altri attentati avevano preso di mira due ponti ferroviari nelle regioni di Bryansk e Kursk, con un bilancio di 7 morti e numerosi feriti. Tutti rivendicati dall'intelligence di Kiev, lasciano trasparire un'intuibilmente significativa assistenza da parte dei partner NATO e rilanciano le accuse da parte di Mosca di un uso ucraino del “terrorismo di Stato”. Di là da ciò, il piano seguito dagli agenti di Kiev appare molto ben congegnato: le due azioni contro i collegamenti ferroviari sono state infatti concepite, oltre che per infliggere nuovi danni al nemico, anche per distrarne l'attenzione dai cinque successivi e ben più gravi attentati che ne avrebbero riguardato gli aeroporti. Là vi è dislocata una significativa quota dei bombardieri strategici dell'aviazione russa, usati in passato anche nel conflitto in Ucraino per il lancio di missili convenzionali ma al tempo stesso parte pure della “triade nucleare”. Proprio per questa ragione, dato che l'obiettivo ucraino era di provocare danni ben più gravi di quello poi effettivamente ottenuti, molta dell'opinione pubblica occidentale ha temuto per una possibile ed imminente reazione nucleare da parte di Mosca. 

 

Certo, sarebbe stata una delle possibilità; ma oltre al fatto che solo 13 dei bombardieri presenti sono stati colpiti, peraltro dei più vecchi, e solo in due aeroporti su un totale di cinque, giacché nel caso degli altri tre fortunatamente l'impresa è fallita, possiamo dire che una reazione nucleare sarebbe parsa di per sé piuttosto spropositata. Non solo, ma avrebbe pure vanificato una situazione materiale che vede oggi Mosca massicciamente in vantaggio sul campo: in Ucraina continua ad avanzare con rapida disinvoltura, e ciò a cui infatti oggi punta è di massimizzare i risultati di un trend tanto positivo nel mentre prendendo tempo con le trattative in Turchia, dove peraltro anche gli ucraini e i loro partner occidentali si recano senza dimostrare una più buona volontà. 

 

Non è un caso che ad Istanbul i delegati russi abbiano ripreso dopo tre anni i colloqui presentando le stesse condizioni del 2022, quando un accordo pareva vicino finché Londra non aveva indotto Kiev a ritirarsi dal tavolo. Man mano che le trattative si dilungano e i militari russi continuano ad avanzare sul terreno, le condizioni che Mosca offre a Kiev e ai suoi partner vanno a farsi progressivamente sempre meno generose, col chiaro obiettivo di costringerli infine ad accettare se non proprio una resa incondizionata qualcosa che quantomeno molto le si avvicini. Non appare incomprensibile, alla luce di una simile situazione, che Kiev e i partner NATO, europei o nordamericani che siano, abbiano tutto l'interesse a veder saltare il banco dei negoziati; ovviamente portando la Russia a farlo, così che sua ne sia la responsabilità. Ad esempio proprio a seguito di una tanto grave provocazione come sarebbe stata l'Operazione Ragnatela qualora fosse andata pienamente in porto. 

 

Kiev ha ormai tutto l'interesse a veder fallire le trattative, sia perché un'eventuale fine della guerra rappresenterebbe pure l'immediata fine del suo governo, sia perché le condizioni a prescindere sarebbero a quel punto intuibilmente irricevibili. Non è diverso per i suoi partner NATO, per i quali la fine del conflitto ugualmente sacrificherebbe molti dei loro interessi, comportando l'accollo di danni ugualmente di non poca entità. Protrarre sine die la guerra è, oltre che una garanzia di vita per molti che politicamente vi sono ormai avvinti mani e piedi, anche una perenne e crescente fonte di lucro per i loro immensi apparati militar-industriali pubblici e privati, non a caso dal 2022 ingrassati sempre di più. Il fatto che ad Istanbul i delegati di Kiev si siano presentati in divisa militare anziché in abiti civili, anticipando il testo delle loro condizioni in inglese e in ucraino ma non pure in russo, già da un punto di vista diplomatico costituisce un chiaro e provocatorio segnale. Immaginare che i loro alleati dell'area NATO non abbiano visionato quel loro testo, influendo ad esempio sui suoi contenuti, sarebbe un'ipotesi piuttosto angelica.

 

Sempre per lo stesso principio, d'altronde, i partner NATO non potevano non essere coinvolti in un'operazione che Kiev studiava da 18 mesi, e che come dicevamo appare indubbiamente molto ben congegnato. Le decine di droni utilizzati per gli attentati sono stati smontati e trasportati in Russia verosimilmente sfruttando la triangolazione commerciale data dal Kazakhstan, e una volta giunti a destinazione rimontati per poi venir posizionati su delle artigianali rampe di lancio in legno nei camion poi giunti nelle vicinanze dei cinque aeroporti. Gli autisti dei camion, come ben presto notato da uno di loro trovato strozzato da una fascetta legata intorno al collo dopo che aveva magari intuito ciò che stava succedendo, erano all'oscuro di tali intenzioni. Con indubbia abilità gli agenti ucraini sono quindi riusciti a non sollevare mai alcun serio sospetto in tutta la catena logistica. Si può fin qui ipotizzare che per il grosso il piano sia tutta farina del sacco dei servizi segreti di Kiev, ma non possiamo dire la stessa cosa per le coordinate e le immagini satellitari degli aeroporti da prendere di mira, che solo gli Stati Uniti prima ancora degli europei gli potevano fornire. 

 

Dopotutto sono quei cinque aeroporti ad ospitare ben 50 del totale di 70 bombardieri strategici a disposizione dell'aviazione russa, dagli ormai anziani Tu-22 e Tu-95 ai più nuovi Tu-160, e ciò a cui l'intelligence ucraino puntava era ovviamente di distruggerli o quantomeno colpirli gravemente tutti. Ancora, tutti quei bombardieri in base ai trattati START tra Russia e Stati Uniti non possono stare in hangar coperti ma devono al contrario restare posizionati in pista, così che i due paesi possano rispettivamente controllarsi da satellite per valutare che quegli accordi siano sempre rispettati. Le immagini satellitari devono poi essere scambiate tra i due partner in modo da garantirsi ancor più una reciproca trasparenza, o così quantomeno la normativa auspicherebbe. Rebus sic stantibus, appare davvero inverosimile non pensare ad un coinvolgimento almeno entro certi livelli dell'intelligence americano nell'operazione ucraina. 

 

Le varie agenzie e media occidentali si sono divise nel riportare che Kiev avesse preavvisato la Casa Bianca della sua azione o che non l'avesse fatto, mentre altre testate come Axios, molto seguita da quanti vogliano addentrarsi nei meandri di certa politica americana, inizialmente ha dichiarato la prima versione salvo poi cancellarla e sostituirla con la seconda. Già tutti questi “dettagli” danno la sensazione che vi siano grossi interessi e soprattutto grosse responsabilità che non s'intendono sollevare, alimentando un più vasto caos informativo. Molto più chiare invece, anche intuibilmente, le posizioni delle varie agenzie russe, che hanno grossomodo dato tutte per certo che a Washington fossero fin troppo al corrente dell'avvenuto, dalla governativa TASS alle varie Ria Novosti, Lenta e via dicendo. Men che meno, insomma, si può ipotizzare che i servizi d'intelligence dei vari partner NATO, americani od europei che siano, non fossero al corrente non soltanto che quel piano sarebbe stato messo in atto, ma ancor prima che a Kiev vi studiassero sopra da ben 18 mesi.

 

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