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Il suicidio assistito dell'Europa, nei bilanci recenti e nelle prospettive future

2025-01-03 18:00

Filippo Bovo

Il suicidio assistito dell'Europa, nei bilanci recenti e nelle prospettive future

Chiudere un anno è sempre difficile ed iniziarne un altro ancor di più. Il 2024 non è stato dei più semplici, perché giornalmente c'ha illustrato novi

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Chiudere un anno è sempre difficile ed iniziarne un altro ancor di più. Il 2024 non è stato dei più semplici, perché giornalmente c'ha illustrato novità che non sempre molti di noi si sarebbero attesi od augurati: dagli sviluppi nei conflitti in Ucraina e Medio Oriente ai traballanti dati economici europei, dalle montanti tensioni in varie parti del mondo, come in Georgia, Moldavia, Venezuela o Corea del Sud, alle costanti incognite legate al fenomeno migratorio. Le difficoltà nel garantire una concordata governance globale hanno continuato a gravare sulle principali questioni internazionali, denunciando le tante distanze nell'approccio politico perseguito dai principali governi mondiali: le varie situazioni succitate, per esempio, ci ricordano come la mancanza di una volontà comune nel raggiungere una linea politica fruttuosa per tutti porti inevitabilmente a danni che sempre i più deboli si ritroveranno poi inevitabilmente a pagare. 

 

L'Unione Europea, chiudendosi in una visione ideologica su molte questioni vitali, ha finito per esempio con l'avvitarsi in un percorso dove l'autoreferenzialità si va traducendo sempre più in isolamento politico ed economico e in perdita di rilevanza strategica nel mondo. E' una tendenza stabilitasi negli ultimi anni, in particolare dallo scoppio della guerra in Ucraina, e che se non corretta per tempo diverrà ad un certo punto tanto palese ed incisiva da non esser nemmeno più rimediabile. Scelte più ideologiche che pragmatiche, come ad esempio il passaggio forzato dalle fonti energetiche tradizionali a quelle green, in particolare nella mobilità privata con l'approdo esclusivamente ai motori elettrici nell'arco di pochi anni, sembrano al momento passi più lunghi della gamba, che le economie europee non paiono in grado di poter affrontare. Per giungere al traguardo pianificato dalla Commissione Europea, per esempio, Bruxelles dovrebbe prima di tutto riuscire a garantirsi una produzione energetica a basso costo e pertanto conveniente alle sue imprese e ai suoi cittadini, nonché tutte le infrastrutture idonee a renderla davvero fruibile in tutto il suo vasto territorio. Ma tutti vediamo la costante crescita dei costi energetici accusati dalle varie economie del Vecchio Continente, le loro difficoltà nel dotarsi di un'estesa rete di colonnine e punti di ricarica, o ancora la crisi che a vario livello oggi attanaglia i suoi Produttori automobilistici. 

 

Per ragioni ideologiche, e per dovere d'obbedienza al proprio grande alleato americano, l'Unione Europea ha scelto di farsi del male riducendo corposamente l'importazione di gas russo di cui precedentemente era una grande acquirente, ben sapendo che non sarebbe riuscita a trovare convincenti sostituti nell'immediato. Dopotutto, il gas azero ed algerino non può ad oggi sostituire per intero quello russo, anche solo per mancanza d'equiparabili infrastrutture atte a trasportarlo in Europa, e non diversamente si può dire per quello americano, fin da subito presentatosi con costi almeno quattro volte maggiori a fronte di un potere calorifico e di una qualità di raffinatezza ben minori. Non dimentichiamoci che il gas russo giungeva attraverso tre diversi corridoi, oggi chiusi tolto il TAP in cui a scorrere è prevalentemente il gas azero a cui s'addiziona una piccola percentuale di gas russo; quello che transitava per la Polonia è stato chiuso sin dallo scoppio del conflitto mentre il North Stream, che attraversava il Baltico, è stato fatto saltare con un'ormai acclarata responsabilità americana e nel pieno silenzio delle istituzioni europee. Oggi che l'Ucraina chiude alla Moldavia i rubinetti del gas russo, l'Unione Europea si ritrova con un alleato come Chisinau lasciato al freddo per dovere d'obbedienza ad un altro alleato ancora, Kiev, dietro cui si nasconde quello ancor più potente d'oltreoceano. Ma prima Bruxelles aveva fatto di tutto per spingere entrambi i due paesi a questo punto, non interrogandosi su quali conseguenze avrebbe potuto sortire quella sua condotta politica tanto irresponsabile.

 

Ancora, nella Russia i paesi dell'Unione Europea hanno perso non soltanto un fornitore d'energia di buona qualità e a basso costo, ma pure un crescente mercato per i loro prodotti finiti. Le sanzioni votate a più riprese dalla Commissione Europea hanno nella maggior parte dei casi messo fuori dal mercato molte imprese europee che nel mercato russo trovavano un approdo commerciale difficilmente sostituibile dall'oggi al domani, avvantaggiando la concorrenza di molti altri paesi che ben si sono guardati dal fare scelte ideologiche come quelle europee ed americane. Sin dalle prime sanzioni europee alla Russia, già dal 2014 dopo i fatti di Piazza Majdan, a trarne vantaggio sono stati soprattutto i produttori turchi, arabi e cinesi, e di altri paesi ancora, con vendite cresciute di anno in anno. Le aziende europee ancora presenti in Russia, e non sono poche, devono ricorrere a costose triangolazioni che costringono inevitabilmente a presentarsi sul mercato finale con costi più alti; oppure in particolare dopo i fatti del 2022 hanno proprio tranquillamente scelto di rimanere in loco rinunciando alla loro presenza in Europa, a questo punto non ritenuta più strategica. Anche se a guerra finita tutti cercheranno nuovamente di tornare in Russia per far affari, il grande vantaggio commerciale detenutovi fino a pochi anni prima non sarà tanto facile da recuperare, ammesso poi che sia possibile. Nel frattempo, solo chi ha le spalle sufficientemente grosse per andar avanti da solo può al momento permettersi d'aggirare i gravi limiti imposti da Bruxelles; gli altri, più piccoli, semplicemente chiudono o fanno salti mortali per sopravvivere, per quanto ancora non si sa.

 

Ma attenzione, perché questo vale anche per la Cina. Sempre su spinta del grande alleato americano l'Unione Europea, pur volendo come già dicevamo passare forzatamente all'elettrico in pochi anni, sanziona sempre di più Pechino sul cui avanzato livello tecnologico e le grandi masse critiche avrebbe invece potuto contare proprio per poter raggiungere il suo pianificato traguardo di un'economia tutta green in poco tempo. Dopotutto chi è oggi al mondo il principale produttore d'energia verde, da fonti rinnovabili? Contrariamente a tutta la propaganda messa in piedi in Occidente, è proprio Pechino a detenere il primo podio nella classifica internazionale. Lo stesso si può dire per il settore automobilistico, che vede i Produttori cinesi piazzare il 30% delle loro vetture elettriche già solo nel loro enorme e crescente mercato interno. I Costruttori europei ed occidentali in genere a causa delle politiche ostative dei loro paesi hanno perso enormi quote di venduto in Cina a vantaggio della concorrenza locale, la cui crescita per livelli tecnologici e qualitativi nel volgere di pochi anni è stata a dir poco impressionante. Senza stabilire delle partnership coi Costruttori cinesi, quelli europei sono destinati nel giro di una generazione a sparire: ad oggi sopravvivono, in molti casi, proprio perché sono riusciti a stabilirle per tempo. Ma con le sanzioni e i dazi votati in Unione Europea, e col costante calo del potere d'acquisto dei cittadini europei dovuto alla situazione economica generatisi soprattutto a partire dalla guerra in Ucraina, il mercato automobilistico nel Vecchio Continente precipita e i loro stabilimenti in loco non a caso languono. Non è uno scoop che le Case automobilistiche europee abbiano accolto con profondo malumore i dazi adottati dalla Commissione Europea alle auto elettriche cinesi, per non parlare poi della reazione fortemente allarmata di tutte le imprese dell'indotto. Le contromisure commerciali che la Cina dovrà adottare verso i provvedimenti europei, esattamente come quelle assunte dalla Russia dal 2014 ed ancor più dal 2022, per tutte le imprese e quindi per tutti i lavoratori europei significano una drastica riduzione delle loro quote di export e del loro lavoro. 

 

Le aziende dell'indotto automobilistico in parte saranno sempre più costrette dalle misure europee a delocalizzare altrove per sopravvivere, ma la stessa scelta non potranno certo farla i loro lavoratori; non di meno delocalizzeranno sempre di più anche i Costruttori europei, che infatti chiudono o vendono i loro stabilimenti in Europa, talvolta anche con grande clamore mediatico. Se sono note le difficoltà di Stellantis, non di meno lo sono pure quelle del Gruppo Volkswagen, di BMW o di Mercedes, un tempo giudicati all'unanimità come dei colossi floridi ed incrollabili. Tutti questi aspetti ci ricordano che non sono le scelte ideologiche e non meditate, che non tengono conto delle inevitabili conseguenze, a garantire un futuro di benessere ai paesi che le adottano, ma semmai quelle fondate sul dialogo e la cooperazione, sul realismo e l'approccio costruttivo. Rifiutando un'apertura con pretesti come la “lotta tra democrazie ed autocrazie” o la “sovraccapacità produttiva”, le economie dell'Occidente, ed in particolare quelle dell'Unione Europea che maggiormente sconta il proprio deficit di sovranità ed autonomia dalle scelte del potente alleato americano, scelgono d'isolarsi in un percorso autoreferenziale che le condurrà unicamente ad una progressiva ed irrecuperabile perdita di rilievo nel mondo, oltre che ad un altrettanto progressivo impoverimento interno. Anche perché nella lotta tra Bruxelles e Pechino nell'ambito automobilistico, a rimetterci sono pure altre aziende europee dedite a tutt'altri generi di produzione, dall'agroalimentare al vestiario, dalle macchine utensili ai semilavorati: proprio come già accaduto col braccio di ferro con Mosca.

 

L'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, altro fatto che ci viene consegnato dall'anno appena concluso, non promette grandi distensioni a beneficio della sempre più fragile Europa. Dinanzi a Washington sempre più portata a guardare a Pechino come un vero e proprio avversario vitale, Bruxelles si troverà nuovamente stretta in una morsa dove nuovi e severi richiami dall'alto la costringeranno ad ulteriori mosse autolesioniste. Tra le tante cose, oltre a nuovi round di sanzioni autodistruttive, anche maggiori dazi nel mercato americano per i prodotti europei, che incoraggerebbero più di un'impresa del Vecchio Continente a stabilire oltreoceano quote crescenti della loro produzione D'altronde, e questa non è certo più voce solo di pochi maligni, un partner sempre più debole e pertanto pure più controllabile come quello europeo, proprio perché più deindustrializzato e meno competitivo, è tra gli obiettivi che da anni gli Stati Uniti perseguono portando sistematicamente avanti la strategia di scollegare il Vecchio Continente dalle economie cinese e russa. Un'Europa vincolata all'energia e alle merci americane, prodotte da una reindustrializzazione pagata e favorita negli Stati Uniti soprattutto col sacrificio-sucidio europeo, per Washington sarà sempre più un vantaggio irrinunciabile di cui avvalersi nella corsa per mantenere, o rincorrere, la vecchia e sempre più malferma supremazia internazionale. 

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