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Kosovo, Somaliland, Taiwan: vecchi e nuovi riconoscimenti, parziali ma pericolosi

2024-12-25 22:00

Filippo Bovo

Kosovo, Somaliland, Taiwan: vecchi e nuovi riconoscimenti, parziali ma pericolosi

Sin dalla sua proclamazione d'indipendenza dalla Somalia nel 1991, mentre il paese piombava nella guerra civile con la caduta del Presidente Siad Barr

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Sin dalla sua proclamazione d'indipendenza dalla Somalia nel 1991, con lo scoppio della guerra civile e la caduta del Presidente Siad Barre, il Somaliland non ha mai abbandonato il proposito di un pieno riconoscimento internazionale, con tanto d'ingresso con un proprio seggio all'Assemblea Generale dell'ONU. Già protettorato britannico, unitosi nel 1960 all'ex Somalia italiana all'epoca in amministrazione fiduciaria all'Italia (AFIS) per fondare il nuovo Stato somalo indipendente, ha sempre scontato con Mogadiscio un rapporto non facile, per le tante e mai venute meno ingerenze esterne tipiche di un meccanismo neocoloniale che a vario titolo grava sempre su molte nazioni africane. Il mai venuto meno legame con l'ex potenza coloniale britannica oltre al sostegno etiopico ai locali movimenti indipendentisti non hanno infatti mai permesso un pieno raggiungimento dell'unità nazionale, semmai favorendone sin dagli Anni ‘70 un primo ed irrecuperabile sfaldamento. Così, anche se per differenti ma in parte pure complementari ragioni, sia Addis Abeba che Londra ed in seguito gli Stati Uniti che ne hanno rilevato il ruolo internazionale hanno sempre visto in una Somalia forte ed unita un ostacolo ai loro interessi in Africa Orientale. Alla prima occasione utile, quell'ostacolo doveva dunque esser colpito; e così è stato in più occasioni, fin dai suoi primi anni d'unità politica.

 

Tuttavia, almeno fino ad oggi i propositi indipendentisti di Hargeisa sono risultati sempre piuttosto ottimistici, soprattutto per via delle reali intenzioni di quanti, tra potenze e gruppi d'interessi stranieri, non hanno ad ogni modo esitato nel frattempo ad alimentarli e a servirsene. Il loro fine, in ultima essenza, non è mai stato realmente quello di garantire una piena indipendenza del Somaliland, ma semmai d'impedire che l'intera Somalia ritrovi piena unità e stabilità. Ciò li ha portati negli anni non soltanto a foraggiare il separatismo del Somaliland così da allontanarlo dal resto della Somalia, ma nel mentre anche a favorire in quest'ultima l'avvento di vari ed effimeri Stati a carattere tribale e militare, ad impedire alle Corti Islamiche di ricondurla ad una piena unità nel 2006, od ancora a dare un grande e sotterraneo sostegno agli islamo-fondamentalisti di Al-Shabaab. Nel più vasto obiettivo di mantenere costante nel tempo la destabilizzazione e la frammentazione della Somalia, dunque, l'idea di un Somaliland o in alcuni momenti persino di un Puntland indipendenti sono sempre stati né più e né meno che dei meri “Piani B”, spendibili solo qualora l'evoluzione della situazione regionale ed internazionale li avesse resi strettamente necessari. 

 

In fondo, nessuno dei suoi quando dichiarati e quando occulti sostenitori potrebbe davvero garantire al Somaliland un pieno riconoscimento internazionale: giammai ad esempio avrebbe la possibilità d'entrare all'ONU senza l'assenso per prima della Somalia, che dovrebbe a quel punto accettarne la secessione, e così pure dei suoi vari partner internazionali, che non sono certamente pochi e men che meno disposti ad avvalorare una simile posizione. Se a trattare un riconoscimento dell'indipendenza del Somaliland si possono al momento annoverare paesi come Stati Uniti, Inghilterra, Etiopia, Emirati Arabi Uniti ed Israele, ad affiancare la Somalia è praticamente tutto il resto del mondo, a cominciare dai primi partner regionali come Turchia, Eritrea ed Egitto, il resto della Lega Araba o ancora grandi nomi quali Russia e Cina. In definitiva, Hargeisa potrebbe veder riconosciuta la sua secessione da Mogadiscio solo agli occhi dei propri partner, a cui altri loro alleati andrebbero poi ad aggiungersi, proprio come a suo tempo avvenne per quella del Kosovo dalla Serbia. Riconosciuto come indipendente dai paesi NATO, che ne sostennero la secessione, il Kosovo ha con tutti costoro rapporti diplomatici e scambi d'ambasciate, ma non siede all'ONU visto che la Serbia e il resto della comunità internazionale mai ne hanno riconosciuto l'indipendenza: anche per il Somaliland non sarebbe diverso, con la Somalia ed il resto della comunità internazionale che continuerebbero a non riconoscere Hargeisa. Per ottenere quel parziale riconoscimento, proprio come fu nel caso kosovaro, i partner di Hargeisa dovrebbero forzare la mano con molta della comunità internazionale, in questo caso su questioni ben sensibili come quelle riguardanti l'area tra Africa Orientale e Medio Oriente, la sua sicurezza e le sue rotte estese tra Asia e Mediterraneo. Tuttavia il sensibile mutamento d'equilibri in atto in tutta la regione, legato al conflitto in Medio Oriente e alla crescente concorrenza internazionale tra Stati Uniti e paesi emergenti come Cina, Russia ed Iran, potrebbe oggi indurre proprio alla rivalutazione di quel che un tempo era solo un mero “Piano B”.

 

Il primo paese ad annunciare pubblicamente l'intenzione di voler riconoscere l'indipendenza di Hargeisa dalla Somalia era stato l'Etiopia, con un MoU (Memorandum of Understanding) in base al quale ciò sarebbe avvenuto in cambio di un presidio navale e militare sul Golfo di Aden, nell'area di Berbera. L'accordo, giunto dopo mesi di scaramucce diplomatiche dovute alle aggressive richieste etiopiche di uno sbocco sul mare ad Eritrea, Gibuti e Somalia, aveva ulteriormente inasprito i già tesi equilibri nel Corno d'Africa oltre a crearne di nuovi tra Lega Araba ed Unione Africana. Dopotutto era un momento in cui l'area tra Golfo di Aden e Mar Rosso cominciava ad avvertire le prime turbolenze legate al contemporaneo conflitto a Gaza, con l'entrata in campo degli Houthi nello Yemen, oltre alla guerra civile in corso da mesi nel Sudan che vedeva pure in quel caso un forte coinvolgimento dell'Etiopia oltre che degli Emirati Arabi Uniti. Già allora appariva infatti vistosa la simbiosi tra Etiopia ed Emirati, coi secondi che cavalcavano la prima come propria testa d'ariete nella corsa ai porti del Somaliland e nel sostegno alle RSF (Forze di Supporto Rapido, eredi degli ex Janjaweed) contro il governo sudanese; ma molto più lontano e meno percepibile appariva invece il ruolo di Israele e degli Stati Uniti, nel frattempo impegnati su altri fronti in quel momento per loro prioritari in Medio Oriente ed Ucraina. Addis Abeba aveva dunque assunto per loro conto l'impegno a portare avanti quella non facile partita regionale, contando sull'appoggio garantitole da un solido partner regionale come gli Emirati che al contempo fornivano anche ad Israele la propria spalla in Medio Oriente. Poiché nel frattempo la situazione ristagnava, con la progressiva sconfitta delle RSF in Sudan e il consolidarsi di forti alleanze a difesa della Somalia da parte di paesi come Eritrea, Egitto e Turchia, nel corso dell'estate Emirati Arabi Uniti ed Israele sono scesi in campo a loro volta, dichiarando la propria intenzione di voler procedere ad un riconoscimento di Hargeisa in cambio di basi navali e militari sulle sue coste, volte a contrastare gli Houthi e la crescita dell'influenza iraniana nell'area. Gli Emirati finanzierebbero la costruzione, oltre che dei propri presidi, anche di quelli etiopici ed israeliani. 

 

In quel momento i paesi europei se ne stavano ancora piuttosto defilati sulla questione, sebbene l'azione degli Houthi li costringesse ad una presenza tra Golfo di Aden e Mar Rosso con la missione Aspides, parallela a quella a guida americana nota come Prosperity Guardian. Il MoU tra Etiopia e Somaliland era stato formalmente respinto dall'UE, che aveva ribadito la necessità di rispettare l'unità della Somalia, e così pure avevano fatto anche gli Stati Uniti. Nel loro quadro di contrasto agli Houthi, Washington e Bruxelles puntavano soprattutto a guadagnarsi un riavvicinamento o quantomeno un via libera tra i paesi dell'area, come Arabia Saudita, Eritrea e Sudan, tuttavia piuttosto restii ad accogliere i loro inviti. Le diverse visioni sul conflitto in Medio Oriente e il coinvolgimento di Parigi nel sostegno alle RSF in Sudan, assicurato tramite le basi in Ciad, indicavano alle cancellerie di Riyad, Asmara, Khartoum, o ancora del Cairo, la poca affidabilità degli interlocutori occidentali su questo come su altri temi. La conferma non ha tardato a giungere quando i Repubblicani, usciti vittoriosi dalle Presidenziali, hanno espresso pubblicamente la loro intenzione di voler procedere ad un riconoscimento unilaterale del Somaliland, imprimendo pertanto un forte colpo d'acceleratore ad una linea che sottobanco era stata già alimentata dagli Stati Uniti in tutti questi anni ed in particolar modo sotto l'uscente Amministrazione Biden.  I paesi UE potrebbero a tempo debito affiancarsi agli Stati Uniti, seppur con una linea più “soft”, come già del resto vistosi anche per il conflitto in Medio Oriente. 

 

Non a caso, all'insediamento del nuovo Presidente del Somaliland, Abdirahman Mohamed Abdullahi detto Irro, lo scorso 12 dicembre, erano presenti l'Ambasciatore americano a Mogadiscio Richard Riley e alcune personalità del mondo politico europeo. Ma non mancavano neppure esponenti politici di Taiwan, come il ministro degli Esteri Wu Chih-chung, interessata alla possibilità che il Somaliland costituisca un nuovo precedente di riconoscimento internazionale parziale di uno Stato, utile a garantire a tempo debito un medesimo traguardo anche per Taipei. I rapporti tra Somaliland e Taiwan sono ormai ben strutturati, seppur come Stati non riconosciuti: in cambio di materie prime, Hargeisa riceve da Taipei investimenti e massicci interventi nelle infrastrutture e nelle telecomunicazioni, che s'assommano a quelli non meno ingenti provenienti da Emirati Arabi Uniti e Qatar. Inoltre tra i due paesi, sempre nel quadro di paesi non riconosciuti, avvengono anche regolari rapporti diplomatici, con la reciproca presenza di propri uffici d'interesse che assolvono alle funzioni d'ambasciate vere e proprie. Ben si capisce dunque l'interesse di Taipei ad un riconoscimento del Somaliland, perché come già successo per il Kosovo sarebbe un nuovo precedente che avvalorerebbe anche il proprio. Peraltro ciò consentirebbe a Taipei anche di stringere maggiori legami a livello ufficiale con l'Etiopia, prima sostenitrice in ambito africano del separatismo di Hargeisa, e potenzialmente anche con altri partner africani che a quel punto potrebbero gradualmente allinearsi alle posizioni di Addis Abeba. 

 

A Washington l'idea oggi non dispiacerebbe più di tanto, e a darcene un'idea è l'agenda politica nota come “Project 2025”, elaborata da un think tank dell'estrema destra repubblicana, The Heritage Foundation, in cui si parla di “riconoscimento dello Stato del Somaliland come protezione al deterioramento della posizione degli Stati Uniti a Gibuti”. Gibuti, un tempo tra i partner prediletti di Washington nella regione, viene vista oggi con crescente sospetto a causa dei crescenti investimenti di Pechino che hanno dato vita ad una vasta area di libero scambio nella capitale oltre ad un porto multifunzionale nell'area di Doraleh. Così una nuova base americana a Berbera, in Somaliland, rappresenterebbe una strategica alternativa alla vecchia base di Camp Lemonnier a Gibuti, mentre la Somalia anche se nel tempo dovesse maggiormente avvicinarsi a rivali strategici di Washington come Russia, Cina ed Iran non rappresenterebbe comunque per loro un partner molto affidabile viste le sue tante difficoltà interne. Il fatto che le strategie americane nell'era Trump siano affidate a personalità note come “falchi anticinesi”, quali Marco Rubio e Mike Waltz, che dell'agenda Project 2025 sono forti propugnatori, indica che a tempo debito Washington potrebbe davvero decidersi a compiere un passo del genere, favorendo così il lavoro sin qui condotto in tal senso già da Etiopia, Emirati Arabi Uniti ed Israele.

 

Non appare dunque un caso che Pechino, che dal 2022 segue direttamente gli equilibri nel Corno d'Africa con un proprio inviato speciale nella persona dell'Ambasciatore Xue Bing, abbia ribadito proprio in questi giorni la necessità che sia rispettata l'unità della Somalia nei suoi confini storicamente ed internazionalmente riconosciuti. La Somalia, di là dalla sua situazione interna, è per la Cina una nazione sorella, con cui intrattiene stretti e profondi legami fin dal 1960. Secondo Pechino la comunità internazionale dovrebbe aiutare la popolazione e il governo della Somalia a ricomporre le fratture interne con gli strumenti della cooperazione, impedendo sciacallaggi volti a destabilizzare ancor più l'intero quadro regionale e in potenza pure internazionali. Ogni futura mossa concretamente tesa a dividere il Somaliland dalla Somalia, magari con un riconoscimento parziale, potrebbe costituire oggi una parallela mossa tesa a pavimentare anche la strada di un riconoscimento unilaterale da parte americana di Taiwan. Il principio di “una sola Cina” trova così oggi una sua sempre più forte corrispondenza nel principio di “una sola Somalia”.

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