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La scomparsa di Henry Kissinger, in un Occidente orfano di lucidità e pragmatismo

2023-12-04 16:00

Filippo Bovo

La scomparsa di Henry Kissinger, in un Occidente orfano di lucidità e pragmatismo

La scomparsa di Henry Kissinger, avvenuta lo scorso 30 novembre, ha suscitato grandi e contrapposte emozioni nel mondo, sorprendendo i tanti che a dis

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La scomparsa di Henry Kissinger, avvenuta lo scorso 30 novembre, ha suscitato grandi e contrapposte emozioni nel mondo, sorprendendo i tanti che a dispetto dei suoi cent'anni d'età s'erano ormai abituati a crederlo una figura immortale. Non ci sono dubbi che l'operato di Henry Kissinger sia costellato tanto di luci quanto di ombre: come Segretario di Stato USA negli anni di Richard Nixon e Gerald Ford, fu autore di trame ben più che machiavelliche e certamente non sempre delle più lodevoli. Anche negli anni successivi la sua influenza sulla politica americana ed occidentale restò determinante, e non solo per quanto riguardava le linee seguite dalle Amministrazioni Reagan e Bush sr. In generale, il giudizio tributato a livello mondiale verso la figura di Kissinger è sempre, come in questi casi, controversa: terribile nemico per alcuni, ma anche grande e difficilmente sostituibile amico per altri.

 

Agli occhi di molti, soprattutto in Occidente e tra le generazioni che hanno vissuto la propria giovinezza intorno agli Anni '70, Kissinger è stato l'uomo della guerra civile in Libano, dei colpi di Stato in Cile ed Argentina, dell'invasione sudafricana dell'Angola o dell'occupazione indonesiana di Timor Est; stratega, con altri, nel condurre da lontano la “strategia della tensione” in Europa ed in particolare in Italia, col rapimento e l'omicidio dello statista democristiano Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, o nel pianificare il coinvolgimento, con bombardamenti a tappeto, della Cambogia nella Guerra del Vietnam. Proprio per quella guerra, che agitò il ‘68 sia in Europa che negli USA e tutto il movimento di contestazione giovanile del decennio successivo, Kissinger è forse oggi maggiormente ricordato presso gli italiani; insieme, ovviamente, ai già citati fatti del Cile che tanto riecheggiarono anche nel nostro paese, e alla morte di Moro. 

 

Ma, giova ricordarlo, Kissinger è stato anche l'uomo che mediò nei primi negoziati tra Egitto ed Israele, dopo la Guerra dello Yom Kippur, gettando così le fondamenta per quelli che anni dopo, sotto una regia diversa dalla sua, sarebbero stati gli Accordi di Camp David: il Medio Oriente, allora come oggi, rappresentava un “fronte caldo” nel quale tuttavia Kissinger intendeva portare avanti un approccio ben diverso da quello che gli USA avrebbero perseguito nei decenni successivi. Ancor più epocale fu l'accordo tra l'Amministrazione Nixon e Re Faysal dell'Arabia Saudita del 1973, in base alla quale gli USA avrebbero garantito protezione militare e politica al Regno dei Saud, massimo produttore petrolifero, mentre questi si sarebbe impegnato a vendere sul mercato il proprio greggio esclusivamente in dollari. Da quell'intesa, che impattò enormemente su tutto l'OPEC inducendo anche gli altri produttori di greggio a fare altrettanto, nacque il “petrodollaro” che consentì agli USA, in quel momento in un indubbio impasse strategico a vantaggio del concorrente sovietico, di passare alla controffensiva rifinanziando la superpotenza americana. Non meno importante, anche per l'effetto e per le speranze che suscitò nell'opinione pubblica di quegli anni, fu l'aver mediato nel primo Trattato sui Missili Anti-Balistici tra USA ed URSS, in anni in cui la corsa agli armamenti alimentava incubi sempre più pervasivi.

 

Un altro colpo da maestro Kissinger lo firmò con la visita segreta in Cina del 1971 ed il successivo disgelo sino-americano, indispensabile per gli USA non soltanto per tracciare una via d'uscita dall'ormai annosa Guerra del Vietnam ma anche per non lasciare un “fronte scoperto” nella contemporanea sfida con l'URSS. L'operazione fu coronata brillantemente: innanzitutto, trattando con la controparte nordvietnamita, gli USA poterono finalmente concludere un conflitto nato senza alcun senso e sempre senza alcun senso trascinatosi sino ad allora, con decine di migliaia di morti e feriti ed infinite distruzioni per Vietnam, Laos e Cambogia, oltre che enormi danni anche alla stessa società americana. Per la pace infine ottenuta, tanto Kissinger quanto il nordvietnamita Le Duc Thuo furono insigniti del Nobel per la Pace: il primo l'accettò, seppur tra le discussioni di molti, il secondo invece lo rifiutò. Ma soprattutto, guardando a Pechino non come ad un secondo rivale sia pur separato dall'URSS, ma come ad un prezioso interlocutore da recuperare, gli USA poterono trovarvi un nuovo alleato, un paese amico sulla cui benignità e neutralità poter contare. Fino ad allora Pechino era stata per loro, sul versante asiatico e pacifico, il grande “fronte scoperto”, una potenza inevitabilmente destinata a crescere fino a pesare in modo determinante sulla bilancia dello scontro USA-URSS: perché trattarla da nemica? Da quell'accordo gli USA ottennero dunque un immenso vantaggio strategico, ma non minore fu quello ottenuto da Pechino che finalmente iniziò a vedersi riconosciuta nella sua legittimità politica di “una sola Cina”, con la conseguente estromissione del governo nazionalista di Taipei dalle sedi politiche internazionali, ONU per prima. Fu l'inizio di un percorso in verità non ancora conclusosi: per il diritto internazionale l'Isola di Taipei è sotto la sovranità di Pechino, e gli USA lo riconoscono; ma al contempo, gli USA continuano pure a sostenere il governo di Taipei che invece non riconoscono, impedendo così nei fatti che l'Isola possa riunirsi alla Madrepatria.

 

L'ostinazione americana a voler perseguire su un simile tracciato, oggi, rischia di compromettere sempre più irreparabilmente i buoni rapporti stabiliti nel passato ed in verità nel corso degli anni turbati da varie scelte che a Washington si sarebbero certamente potute evitare. Alimentare ad un sempre più alto prezzo la tensione sul fronte del Pacifico, giocando con spensierata e pericolosa disinvoltura la carta di Taiwan, è sicuramente la prima cosa che può portare gli USA ad uno scontro con la Cina che non oggi ancor meno che ieri si possono permettere. Tanto nel 1971 quanto nel 2023 Taipei continua a rimanere il fulcro essenziale, benché non l'unico, nei rapporti tra Washington e Pechino. Gli USA, come Kissinger ricordò anche in seguito, e a maggior ragione quando Cina e Russia diedero vita ad un rapporto sinergico che le ha rese nel tempo sempre più alleate “permanenti” e “senza limiti”, non possono affrontare due “nemici sistemici” contemporaneamente: oggi ancor meno di prima, visto il ripiegamento che la potenza politica, economica e militare americana da alcuni anni accusa, sia per fisiologiche dinamiche storiche che per proprie e reiterate scelte controproducenti. Tale principio, condiviso anche da John Mearsheimer, non ha tuttavia trovato grande popolarità nella politica americana degli ultimi anni, fattasi sempre più bellicosa ed incline allo scontro frontale con Cina e Russia insieme. Non a caso, abbiamo visto come le pur caute critiche rivolte da Kissinger al modo americano di condurre la guerra in Ucraina e l'approccio con Mosca gli abbiano causato pesanti accuse ed invettive, non certo rispettose per un uomo della sua età. Anche sulla strategia sempre più improvvida seguita dagli USA nei confronti della Cina, Kissinger è stato aspramente contestato e sminuito; ma ciò non gli ha impedito di ribadire più volte il suo accorato e lucido punto di vista, ad esempio in occasione del recente incontro col Presidente cinese Xi Jinping nello scorso luglio o durante il banchetto del Comitato Nazionale per le relazioni USA-Cina dello scorso ottobre, praticamente un mese prima della sua morte. Possiamo quasi considerare quel suo discorso come un ultimo messaggio, un testamento politico.

 

Oggi, ed è un paradosso, gli USA insieme a qualche loro alleato dei più scalmanati vorrebbero quasi riportare indietro l'orologio della storia, senza rendersi conto di quanto ciò sia semplicemente impossibile. Probabilmente, se si trovassero davvero costretti all'azione, poi neppure lo farebbero, e ciò vale tanto per quegli stessi alleati quanto per molti settori politici e militari americani che oggi si galvanizzano nel vestire i panni dei “falchi”: non è facile dar seguito alle proprie parole, soprattutto se sono un “wishful thinking” o una propaganda politica che si scontra col muro della realtà e dell'impotenza. Quello di Kissinger era un immenso realismo, “pragmatismo” come si suol dire riferendosi all'abilità di trarre il meglio dalla realtà politica; ma tale dote fa oggi difetto all'Occidente, guidato da uomini incoscienti o ciechi. Orfano della sua lucidità e del suo pragmatismo, l'Occidente guidato dagli USA pare oggi, senza neppure rendersene conto, volersi condannare unilateralmente  all'irrilevanza e all'emarginazione nel mondo.

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