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Papa Francesco, il bilancio di una Chiesa tra passato e futuro

2025-04-25 17:35

Filippo Bovo

Papa Francesco, il bilancio di una Chiesa tra passato e futuro

La scomparsa di Papa Francesco ha destato una grande commozione nei fedeli e un profondo rispetto nel mondo politico internazionale, anche tra quanti

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La scomparsa di Papa Francesco ha incontrato la commozione dei fedeli e il rispetto di tanti attori internazionali, compresi quanti vi avevano polemizzato in vita. Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo: ben di rado una figura pubblica scompare nell'indifferenza e nell'acrimonia dei più. Tuttavia, per quanto divisivo come ogni Pontefice sempre è stato, Jorge Mario Bergoglio ha saputo anche guadagnarsi l'ammirazione e la vicinanza di tanti che in precedenza poco avevano avuto a che fare col mondo della Cristianità. Di questo suo tentativo di aprire la Chiesa ad un gregge a cui non aveva prima saputo rivolgersi, e del successo che può aver avuto o meno, si dibatterà a lungo anche in futuro. Oltretutto, negli ultimi anni di guerra che hanno funestato il suo pontificato, portandolo probabilmente a concluderlo con un grande dolore nel cuore per le tante tragedie che ancora insanguinano numerose aree del mondo, dall'Ucraina al Medio Oriente fino all'Africa, resterà sempre forte, e questo è un aspetto più che certo, la memoria del suo costante ed accorato appello a confidare nella pace e nel potere risolutivo del dialogo. I fedeli, primi custodi di questa memoria, porteranno sempre questo appello con sé.

 

In poco più di dodici anni di pontificato, Papa Francesco ha spesso puntato sulla sorpresa per guadagnarsi la fiducia di molti suoi interlocutori e portare avanti riforme ed innovazioni non sempre gradite ad altri, non soltanto tra i conservatori: qualificarlo come progressista opposto a quest'ultimi, infatti, potrebbe apparire alquanto azzardato. Come ogni Pontefice, anche Bergoglio semplicemente non è stato né progressista né conservatore, ma figlio del suo tempo e portatore di una più grande opera di continuità ereditata dai suoi predecessori. La contrapposizione con Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, spesso fatta da molti, è una semplificazione che non rende giustizia a nessuno dei due, ponendoli entrambi fuori da una più corretta identificazione. Papa Benedetto, richiamandosi all'eredità benedettina, aveva puntato sull'idea di una Chiesa che, per resistere alla sfida dei tempi e ricucire certe antiche fratture, ammetteva al proprio interno le novità ma anche i tradizionalismi che l'epoca postconciliare aveva allontanato. Filosoficamente parlando, proprio così San Benedetto aveva fatto nel VI Secolo, fondando dopo la fine della Romanità un nuovo Occidente europeo sul recupero certosino di quanto restava del passato romano e guardando con fedele speranza al futuro, secondo la regola di Ora et Labora. Papa Francesco, invece, ispirandosi all'eredità francescana, aveva proposto una Chiesa che evocava i tratti più ascetici e frugali del santo che nel XIII Secolo aveva contribuito a rifondarla salvandola dal declino, riproponendo il rigoroso rispetto del messaggio evangelico e allo stesso tempo aprendosi agli “ultimi”, a quanti la dura società del tempo aveva tolto speranza e visibilità. Entrambi, dunque, hanno guardato al futuro della Chiesa sfoggiando quelli che ne sono tra i pilastri storici e teologici forse più forti ed evocativi.

 

Lo sguardo verso la novità e gli immancabili appuntamenti col mondo odierno hanno così visto Papa Francesco aprire a Cuba, col ristabilimento dei rapporti diplomatici nel 2015, occasione in cui la Chiesa Cattolica incontrò anche il Patriarcato Ortodosso russo sancendo la fine di un'altra storica e dolorosa rottura nel mondo cristiano. Non solo, ma il Pontefice ha anche stabilito un nuovo equilibrio con gli Stati Uniti, storicamente piuttosto influenti nella vita interna del Vaticano e della Santa Sede, e che premendo in modo spesso strumentale sulla questione degli abusi sui minori da parte di preti e prelati cattolici avevano più volte ingerito nelle questioni interne d'Oltretevere pure a fini politicamente ricattatori. In altre occasioni del suo pontificato, Francesco ha incontrato il Presidente nordcoreano Kim Jong-un, fatto indubbiamente inedito e controverso agli occhi di molti, ma testimonianza pure della sua grande fiducia nel potere del dialogo per riequilibrare i rapporti internazionali e della sua attenzione per la piccola ma importante comunità cattolica a Pyongyang. In generale, la sua politica estera è stata sempre molto coraggiosa al punto da venir talvolta giudicata come avventata: non lo provano soltanto le vaste attenzioni dedicate ai tanti paesi del Sud del Mondo, dall'Asia all'Africa all'America Latina, con ben 66 nazioni visitate in 47 viaggi apostolici diversi, dal Brasile alla Terra Santa, dalla Turchia al Messico, dalla Repubblica Centrafricana dove a Bangui ha inaugurato il Giubileo della Misericordia al Caucaso, dall'Egitto al Myanmar, dall'Ecuador ai Balcani, dal Cile al Marocco, dagli Emirati Arabi Uniti al Mozambico, dalla Thailandia all'Iraq, da Malta alla RD Congo, dalla Mongolia all'Indonesia, e via dicendo. Lo provano anche i tanti incontri coi vari capi religiosi mondiali, dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I all'Imam sunnita di Al-Azhar Ahmed el-Tayeb, dall'Ayatollah Ali al-Husayni al-Sistani al Patriarca copto di Alessandria Tawadros II, dal catholicos armeno Karekin II al Patriarca di Gerusalmme Teofilo III, fino al Patriarca russo Cirillo I ed altri ancora. 

 

Un grande passo che ha fatto discutere molti tradizionalisti, ma anche altrettanti progressisti entrambi accomunati da una certa influenza politica neoliberale ed eurocentrica, è stata la coraggiosa ma necessaria stretta di mano con Pechino, con la firma di un primo accordo tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi nel 2018. Probabilmente proprio questa distensiva intesa con le autorità cinesi, per molti che hanno polemizzato con la figura di Papa Francesco, rappresenta uno dei veri e principali ma al contempo anche non apertamente confessati motivi della loro ostilità: lo lasciano facilmente intuire le loro quasi quotidiane invettive verso Pechino, e così pure verso molti altri paesi, in merito anche a tante altre questioni politiche ed internazionali. Tuttavia, l'accordo è stato tranquillamente rinnovato con cadenza biennale nel 2020 e nel 2022, per conoscere poi un rinnovo di quattro anni nel 2024, quando il Papa compì il suo ultimo ed importante viaggio pastorale in Asia. La saggia ricucitura col grande mondo cinese ha permesso in questi sei anni una decina di nomine e consacrazioni in un clima di “dialogo rispettoso e costruttivo” tra le due autorità, oltre a favorire la presenza dei vescovi cinesi nei Sinodi in Vaticano e in altri incontri in Europa ed America, e chiuso una pluridecennale pagina di ordinazioni episcopali non concordate. E' un primo ma importantissimo passo per un più vasto rapporto tra Pechino e la Santa Sede che intuibilmente suscita le asprezze di quanti, presi dalla loro politicizzata sinofobia, vi paventano il rischio di un futuro e possibile riconoscimento non soltanto nel senso di Cina e Santa Sede, ma anche di Repubblica Popolare Cinese e Stato del Vaticano. Un passo, anche questo, che per quanto lontano il tempo e il dialogo inevitabilmente porteranno comunque a compiersi.

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