Cina ed India, a seguito dell'intesa raggiunta poco prima del Summit BRICS di Kazan, hanno completato in questi giorni il ritiro delle proprie truppe da due aree della frontiera himalayana oggetto finora di vari loro contrasti. La regione coinvolta è quella del Ladakh, interessata non soltanto dalle frontiere cinese ed indiana, ma anche pakistana, e a sua volta fonte nel tempo di numerosi attriti tra New Delhi ed Islamabad.
Il nuovo accordo permette così non soltanto di seppellire definitivamente l'ascia di guerra tra Cina ed India, ma anche di preparare il terreno ad una maggiore distensione tra New Delhi ed Islamabad. Fin dalla loro simultanea indipendenza dalla Corona britannica, India e Pakistan si sono trovate spesso in aperta ostilità per questioni legate a rivendicazioni di frontiera: nel 1947-1948, subito dopo la partenza dell'ultimo viceré Luis Mountbatten, con le immediate contese reciproche sul Kashmir e la sua successiva spartizione ad opera delle Nazioni Unite; nel 1965, nuovamente in quelle aree; nel 1984, con brevi scontri anche negli anni seguenti, per la regione del Ghiacciaio Siachen a nord sempre del Kashmir; infine nel 1999, sul vicino distretto di Kargil. Non mancarono neppure altri conflitti che testimoniavano la reciproca volontà dei due contendenti d'indebolirsi e frammentarsi l'un l'altro, ad esempio nel 1971 col breve ma sanguinoso conflitto che portò all'indipendenza del Bangladesh, fino a quel momento Pakistan Orientale.
Quanto ai conflitti tra Cina ed India, vero nodo dell'odierna questione, vista la comunanza del territorio implicato non è difficile intuire che vi fosse una stretta correlazione, che datava ancora ai principi del Novecento, quando l'una era agli ultimi anni dell'Impero e l'altra colonia della Corona britannica. Nel 1904 l'Inghilterra, decisa a risolvere una volta per tutte le questioni confinarie approfittando della crescente crisi della Cina imperiale, aumentò le sue pressioni su Pechino per ottenere l'area del Ladakh, che i cinesi chiamavano Aksai Chin: erano territori strategici, perché gli unici in cui al momento fosse possibile passare con una vera e propria rotabile collegando il Tibet, noto come Xizang, e lo Xinjiang. Per gli inglesi si trattava di una sorta di corsa contro il tempo, nel timore che potesse essere la Russia zarista a precederli in tale mossa, avvicinandosi così troppo pericolosamente ai loro possedimenti indiani; decisero allora d'avvalersi di vecchi accordi mai comunicati al governo imperiale cinese, e d'imporli in una nuova demarcazione dei confini (la Linea Johnson-Ardagh) che Pechino rifiutò.
I rapporti tra Cina e Londra ben presto precipitarono, finché nel 1911 con un atto di forza gli inglesi non invasero lo Xizang/Tibet raggiungendo Lhasa ed espellendo le guarnigioni cinesi. Venne a quel punto firmata, tra l'Inghilterra e lo Xizang/Tibet divenuto suo protettorato, una nuova linea di demarcazione chiamata Linea MacCartney-MacDonald che la Cina, ormai sempre più indebolita, vanamente denunciò. La successive Rivoluzioni repubblicana in Cina del 1911 e d'Ottobre in Russia allontanarono poi per molto tempo le attenzioni dei due paesi su quelle regioni, e così l'Inghilterra non se ne preoccupò più almeno fin quando non giunse nel 1947 per l'India il momento dell'indipendenza: a quel punto le questioni frontaliere erano una sua eredità, e il governo indiano riconobbe come propria la controversa Linea Johnson-Ardagh.
L'India britannica, separatasi tra India a prevalenza indù e Pakistan a prevalenza musulmano, aveva nel frattempo conosciuto la traumatica e già menzionata divisione del Kashmir, regno dove nonostante la popolazione avesse votato per unirsi ad Islamabad il Maharajah aveva sancito invece l'annessione a New Delhi. La divisione della regione, dopo il primo conflitto indo-pakistano, non trovò mai la piena soddisfazione dei due paesi rivali. Quanto ai rapporti tra Cina ed India, invece, quest'ultima considerava come valide le Linee Johnson nelle aree occidentali e MacMahon in quelle orientali, quest'ultima dal Buthan al Bramaputhra e stabilita decenni prima tra inglesi e governo lamaista tibetano; ciò determinava incomprensioni tra le due parti che sfociarono già in brevi scontri nel 1950-1951.
Malgrado la comune volontà ad intrattenere dei rapporti costruttivi, nel clima dell'appartenenza al Movimento dei Non Allineati nato con la Conferenza di Bandung, nuove tensioni si registrarono anche negli anni successivi, fino al conflitto del 1962. Nel decennio precedente la Cina aveva visto l'India riconoscere la sua sovranità sullo Xizang/Tibet, ma giudicava minacciosa la sua scelta di dare asilo politico al Dalai Lama e di tollerare i campi d'addestramento della CIA per i ribelli lamaisti nel proprio territorio. L'India, dal canto suo, si lamentava del sostegno riposto da Pechino alle posizioni del Pakistan sul Ghiacciaio Siachen e dei lavori che stava facendo in prossimità della Linea Johnson per la costruzione della China National Highway G219, che collegava lo Xizang allo Xinjiang.
Mentre per la Linea MacMahon si giunse ad un'intesa con la Birmania nel 1960, che testimoniava la buona volontà di Pechino ad intrattenere rapporti pacifici e costruttivi col proprio vicino, per la Linea Johnson le posizioni restarono distanti: l'India addirittura rivendicava i confini dell'antico Impero Maurya, risalenti al IV Secolo a.C., decine di chilometri più a nord della stessa Linea Johnson, incontrando l'appoggio del leader sovietico Kruscev in quel momento sempre più in rotta con Pechino. La Cina proponeva all'India ampi spazi nei settori nordorientali in cambio dell'Aksai Chin che riteneva di vitale importanza per la sua sicurezza, ma New Delhi rifiutava; ciò portò al conflitto del 1962, a cui nel 1963 seguì un'intesa tra Pechino ed Islamabad anche per le vicine aree nella Valle dello Humza. Al tempo il breve conflitto, conseguenza della strategia di “Forward Policy” avviata dal Presidente Nehru volta a stabilire numerosi avamposti indiani nei territori ancora contesi, passò alla storia come “guerra dei trenta giorni” e culminò nella reazione cinese che portò al loro allontanamento. Il rapido trionfo delle forze cinesi, ben più preparate di quelle indiane, portò ad una piena soddisfazione di Pechino per gli obiettivi raggiunti e ad una stabilizzazione del controllo delle aree contese nell'Aksai Chin.
Nel mentre, i due paesi non incontravano una piena identità di vedute neppure su altre aree come il Sikkim, piccolo principato tra Nepal e Buthan di cui nel 1975 l'India completò l'annessione, riconosciuta infine dalla Cina nel 2005. In generale tutti questi contenziosi, come pure quelli che opposero l'India al Pakistan, videro sempre le forti strumentalizzazioni delle potenze occidentali: oltre all'Inghilterra, ovvero l'ex potenza coloniale, soprattutto gli Stati Uniti, la superpotenza egemone all'indomani del Secondo Dopoguerra, decisa a sfruttare ogni occasione per alimentare nell'Himalaya il “divide et impera” impedendo a vario titolo che New Delhi potesse superare le sue fratture con Pechino. Ancora peggio, per poter talvolta cavalcare la stessa India in funzione anticinese, secondo un'ottica di “contenimento” che Washington indicava come essenziale tanto negli anni della Guerra Fredda quanto a partire dagli Anni ‘90, vedendo la costante crescita dell’importanza di Pechino come un preoccupante fattore per il suo predominio in Asia e a livello internazionale.
Nel corso degli anni tuttavia molti progressi sono stati raggiunti tra Cina ed India in termini di comprensione reciproca in materia frontaliera, a testimonianza che il dialogo può laddove mai riuscirebbero le armi. Con pazienza e diplomazia, dunque, i due paesi sono riusciti a chiudere una pagina che anche in tempi recenti, nel 2020, aveva causato nuovi e brevi scontri di confine: l'accordo annunciato in questi giorni si può davvero considerare epocale. L'area fino ad oggi contesa, anziché costituire un perenne pomo della discordia che graverebbe pure sulle generazioni cinesi ed indiane future, diverrà oggetto di una condivisa gestione tra i due paesi, con le loro truppe che s'impegneranno a consensuali e reciproci pattugliamenti volti a garantirne la costante sicurezza.
Al momento potranno comunque star ferme, mentre la maturata identità di vedute permetterà col fiorire del dialogo maggiori aperture pure su altri fronti e materie d'interesse comune, anche non territoriale. Non a caso si parla già, ad esempio, della ripresa dei voli diretti oltre che di una maggiore velocità nella concessione dei visti, ad ulteriore segno del grande desiderio di distensione che oggi sembra pervadere l'intera area e con essa anche le due grandi nazioni asiatiche. Cina ed India hanno dunque oggi concreta facoltà di superare progressivamente le loro storiche incomprensioni, ereditate dalle arbitrarietà del colonialismo britannico in aree dove i suoi interessi strategici violavano i bisogni delle nazioni e delle popolazioni coinvolte; procedendo sulla strada del dialogo, dunque, potranno completare un percorso di pace vantaggioso ad entrambe le parti.