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Il dilemma europeo. Credersi grandi, per non ammettersi piccoli: il conflitto in Ucraina

2024-09-21 16:00

Filippo Bovo

Il dilemma europeo. Credersi grandi, per non ammettersi piccoli: il conflitto in Ucraina

Guardando agli ultimi fatti tra Europa Orientale e Medio Oriente, che vedono in entrambi i casi vari attori in vari teatri di conflitto, verrebbe quas

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Guardando agli ultimi fatti tra Europa Orientale e Medio Oriente, che vedono in entrambi i casi vari attori in vari teatri di conflitto, verrebbe quasi da pensare che l'Unione Europea, per limitare o quantomeno coprire il suo coinvolgimento nello scontro israelo-palestinese e israelo-sciita, abbia deciso di raddoppiare la posta in quello russo-ucraino e russo-atlantico. Basterebbe guardare alla votazione a larga maggioranza del Parlamento Europeo a rimuovere ogni limitazione all'Ucraina ad usare le armi fornite dagli alleati europei contro la Russia: imprimendo verosimilmente un aumento del livello d'ostilità tra i due paesi in guerra, implicito apparirebbe l'aumento delle relative conseguenze sia per la stessa Kiev che per l'Unione Europea, a quel punto agli occhi di Mosca sempre più correa di quanto già non lo sia stata finora. 

 

Tuttavia, se andiamo a pensare a quali armi siano state sinora fornite dagli europei a Kiev, in quali tempistiche e numeri, ed ancor più con quali esiti, ci si può facilmente render conto di quanto una simile votazione finisca per risultare grave più dal punto di vista politico e giuridico che militare: il suo risvolto pratico non vedrebbe nell'immediato grandi progressi per gli ucraini, anche se per loro rappresenterebbe comunque un nuovo precedente utile a sfruttare con più efficacia del futuro ed eventuale armamento che sia più temibile di quello ricevuto finora. In attesa di capire quali più temibili armamenti gli europei manderanno in futuro, e soprattutto se e quando li manderanno, resta certo che questo nuovo provvedimento del Parlamento Europeo si tradurrà in maggiori dolori per gli ucraini, eventuali dolori anche per gli stessi europei il cui suolo a questo punto potrebbe anche diventar obiettivo di rappresaglia nell'eventualità di un'escalation del conflitto, ed infine in un prezzo molto più duro da pagare per entrambi allorché il conflitto sarà terminato: perché di là dai tempi e dai modi che serviranno, prima o poi comunque finirà. 

 

Non di meno si potrebbe dire per il recentissimo fatto di Toropets, con una pioggia di droni ucraini che avrebbe portato all'esplosione della locale base militare. Stando alle ricostruzioni, almeno un centinaio di droni ucraini sarebbero riusciti a penetrare nell'entroterra russo per 500 chilometri, giungendo nell'oblast' di Tver e scatenandovi l'apocalisse. In effetti i media occidentali, a partire proprio da quelli europei, hanno dato un enorme eco all'accaduto, presentandolo al proprio pubblico come l'ennesimo e sperato momento di svolta per un conflitto altrimenti dato per perduto. Le descrizioni trasmesse in Europa parlavano non solo di una violenza dell'esplosione paragonabile a quella di un ordigno nucleare come quello di Hiroshima, capace di provocare un terremoto d'intensità 2.8 della scala Richter avvertibile sin nel Baltico, nonché di strutture mal realizzate per problemi di corruzione che avevano conseguentemente facilitato il successo dell'attacco; ma si spingevano pure oltre, tirando un ballo una nuova “arma segreta” utilizzata da Kiev e danni per la Russia a dir poco irrecuperabili, tali quasi da lasciarla disarmata: nell'elenco delle armi russe saltate in aria, comparivano infatti bombe di vario genere, oltre a tutto il repertorio di missili S-300, S-400 e Iskander, così come altri ancora forniti dagli alleati Iran e Corea del Nord. In totale, ben 30mila tonnellate di materiale russo esploso, quando la bomba di Hiroshima aveva avuto una potenza paragonabile a 20mila tonnellate.

 

Tuttavia, stime successive hanno riposizionato l'entità del fatto a più modesti clamori: successivi sopralluoghi ed immagini satellitari davano prova che la località di Toropets, che nel caso di 20mila per non dir 30mila tonnellate d'esplosivo saltato avrebbe letteralmente cessato d'esistere, v'era ancora con danni piuttosto limitati alle strutture circostanti, causati soprattutto dallo spostamento d'aria, come porte o finestre saltate. In assenza di danni agli edifici, la popolazione locale già in serata aveva potuto dunque rientrare nelle proprie case. La stessa base non appariva seriamente colpita, se non nella sua parte più vecchia, mentre quella nuova presentava danni limitati ad una singola struttura a causa di materiale esplosivo che era stato “incautamente” collocato a suo ridosso, facilitando in quel caso un'esplosione maggiore di quella di uno o più droni. In totale, per provocare un terremoto di magnitudo 2.8, ben inferiore a quello che a Beirut nel 2020 ne causò una tra 3.3 e 4.5 a causa dell'esplosione di 2750 tonnellate d'ammonio paragonabili a circa 1100 tonnellate di tritolo, la quantità d'esplosivo non è stata oltre le 300 tonnellate. Infine, la base di Toropets, nota alla CIA fin dagli Anni ‘60 e dunque non tra le migliori per il comando russo per collocarvi armamento di seria importanza, non è neppure collegata alle unità sul fronte ucraino ma al nuovo distretto militare di Leningrado, con implicazioni sull’esito del conflitto in Ucraina praticamente nulle. 

 

Ringrazio e doverosamente cito il Prof. Francesco Dell'Aglio, ricercatore di Storia Medievale presso l'Accademia delle Scienze della Bulgaria, per questi preziosi dati tecnici che arricchiscono di qualche nuova chiave di lettura il ragionamento che intendo esprimere in questa mia personale analisi. Se dunque il successo ucraino di Toropets si limita all'aver colpito un'installazione militare estranea al conflitto e non pienamente affidabile neppure per gli stessi russi, tanto che vi ospitava presumibilmente non più che missili Grad e munizionamento leggero, significa che anche stavolta Kiev ha puntato soprattutto ad un fatto dall'enorme impatto propagandistico, tale da permetterle di riguadagnare punti presso l'opinione pubblica occidentale così da stimolarne maggiormente i vari governi ad aprir di più i cordoni delle loro borse. Ciò di là dal fatto che gli ucraini abbiano effettivamente usato i nuovi droni Palianytsia, a questo punto già usciti dalla fase di sviluppo, o altri già noti, ma con la certezza di un maggior successo nell'impresa a causa d'eventuali dritte ricevute a mezzo d'intelligence circa il fatto che a Toropets vi fossero in quel momento munizioni in buoni quantitativi e con un grado di sorveglianza limitato. Siamo in ogni caso lontani dal poter parlare di un rovescio militare tale da garantire la svolta nel conflitto, e le non più di 300 tonnellate di materiale saltato non contribuiscono a dar dell'impresa l'immagine di una sortita dagli effetti memorabili. 

 

Ben più grave, invece, è l'ipotesi che i droni siano partiti dall'Estonia e dalla Lettonia, paesi membri sia dell'UE che della NATO, che distano da Toropets 250 chilometri anziché 500, perché in tal caso il coinvolgimento degli europei e del Patto Atlantico sarebbe fin troppo palese. Ben si può dunque comprendere perché ora, a fronte di un successo militare fortemente ridimensionato rispetto a quanto in principio dichiarato e alla rischiosa ipotesi che l'Unione Europea si ritrovi in qualche misura implicata in un nuovo attacco militare sul suolo russo, magari perché nuovamente “giocata” da alcuni suoi paesi membri insieme a Washington e al vertice NATO come del resto già avvenne con la distruzione dei gasdotti North Stream, i trionfalismi europei si vadano spegnendo mentre le istituzioni comunitarie, i vari governi e i relativi media nazionali preferiscano volgere il loro sguardo altrove.

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