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Somalia, Etiopia, Sudan: un nuovo status quo alle porte

2024-09-05 12:00

Filippo Bovo

Somalia, Etiopia, Sudan: un nuovo status quo alle porte

A dicembre viene meno l'ATMIS, la missione per la stabilizzazione della Somalia concepita dall'Unione Africana e dall'ONU nel 2022 in sostituzione del

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A dicembre viene meno l'ATMIS, la missione per la stabilizzazione della Somalia concepita dall'Unione Africana e dall'ONU nel 2022 in sostituzione della precedente AMISOM, con la partecipazione di contingenti da Uganda, Burundi, Etiopia, Kenya e Gibuti. Da gennaio 2025 a sostituirla sarà un'altra nuova missione, l'AUSSOM, che mirerà a lavorare ancora più attivamente col Governo Federale Somalo fornendogli una collaborazione più ampia e meno invasiva nel cosiddetto "State building". 

 

Dei cinque paesi dell'ATMIS, al momento solo Gibuti ha confermato la propria partecipazione all'AUSSOM, con un contingente di 960 uomini, il più piccolo tra tutti, che passerebbe così dalla vecchia alla nuova missione. Mogadiscio ha già fatto sapere di non gradire una partecipazione dell'Etiopia nella nuova missione, almeno finché Addis Abeba non ritirerà il suo MoU col governo del secessionista Somaliland. Tuttavia da parte etiopica è stato confermato che non vi sarà, venuta meno l'ATMIS, una presenza nell'AUSSOM, anche se al momento non si sa se ciò si tradurrà pure nel ritiro dei tremila soldati etiopici della vecchia missione, oltre alle altre migliaia di militari sempre di stanza nel territorio somalo per ragioni che ne sono estranee. In totale Addis Abeba avrebbe ad oggi sul suolo somalo dagli ottomila ai diecimila militari, la cui presenza potrebbe protrarsi anche dopo la fine del 2024. Verrebbe da chiedersi che ci facesse già prima l'Etiopia nella missione ATMIS, volta a favorire la stabilizzazione e la riunificazione somala, se al contempo quella stabilizzazione e riunificazione Addis Abeba la sabotava per altre vie, certo non per propria esclusiva volontà ma per condizionamenti “superiori ed esterni” che sono purtroppo ben presenti nella storia del paese. 

 

Tra i nuovi paesi partecipanti all'AUSSOM, invece, al momento è certa la partecipazione dell'Egitto, con 10mila uomini giunti lo scorso 27 agosto a Mogadiscio insieme a molto materiale militare. Anche questa è una reazione al MoU che l'Etiopia ha voluto siglare col Somaliland ad inizio anno, e che ha ulteriormente arroventato i rapporti tra Addis Abeba e il Cairo, già particolarmente tesi per altre questioni quali le diverse vedute nell'uso delle acque del Nilo, in merito alla GERD etiopica sul Nilo Azzurro, nonché da diversi mesi a questa parte anche il sostegno etiopico in Sudan ai ribelli delle RSF (Forze di Supporto Rapido), eredi dei vecchi Janjaweed di Bashir, fornito insieme agli EAU contro il governo di Khartum. Tra le cancellerie di Addis Abeba, il Cairo, Hargeisa e Mogadiscio sono volati in questi giorni gli stracci, con dissapori che non sembrano destinati a spegnersi molto presto. 

 

Sempre per via del MoU tra Etiopia e Somaliland, vi è un rafforzamento della presenza militare della Turchia in Somalia, che Ankara giudica come un alleato strategico per la cui ricostituzione molto impegno ha profuso negli anni. Il contingente turco in Somalia, non facente parte dell'AUSSOM in via di formazione, è composto da altri 10mila uomini. Al contempo, Ankara mira a portare avanti anche il proprio ruolo di mediatore nella regione, con una serie di negoziati tra Etiopia e Somalia che hanno tuttavia conosciuto una serie d'intoppi proprio a causa dei comportamenti etiopici, non ritenuti costruttivi da Mogadiscio e dai suoi alleati. Sempre in questi giorni, Ankara ospita il Presidente egiziano al-Sisi, per un incontro diretto col suo omologo Erdogan in cui discutere oltre che dell'incandescente dossier mediorientale anche della non meno facile situazione nel Corno d'Africa.

 

In generale, aver sabotato il dialogo tra Somalia e separatisti del Somaliland, che proprio alla fine dello scorso anno stava giungendo a positivi risultati sotto la mediazione di Gibuti, ed aver al contempo rifiutato d'implementare il trattato di mutuo scambio e cooperazione con gli altri paesi della regione malgrado i loro ripetuti inviti a farlo, ha costituito per l'Etiopia il superamento di una rischiosa linea rossa che può porla oggi dinanzi al rischio di un difficile confronto con paesi militarmente molto più forti e non sempre tutti "di casa" nel Corno d'Africa. Mentre la Somalia, purtroppo non nuova all'esser vittima di certi appetiti etiopici, continua tuttora a ritrovarsi scacchiera di giocatori abili e ben forniti come ad esempio i già menzionati Egitto e Turchia, e non solo. Purtroppo, ma non è affatto una novità guardando ai precedenti storici, per capire molto della politica di Addis Abeba bisogna spesso e volentieri rivolgere un occhio soprattutto a Washington e a certi suoi alleati di riferimento oltre la regione, come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti ed Israele.

 

Nel frattempo Gibuti, che esattamente quanto la Turchia non vuole perdere il ruolo diplomatico positivamente detenuto fino a pochi mesi fa, lo scorso 31 agosto ha offerto all'Etiopia un porto alternativo a quello di Berbera nel Somaliland, che ha provocato il famoso MoU visto come “pietra della discordia” in tutto il Corno d'Africa e non solo. Il porto gibutino di Tadjura verrebbe infatti concesso ad Addis Abeba con la garanzia di un pieno controllo, e relativo corridoio in grado di collegarlo con l'entroterra etiopico in piena sicurezza: all'apparenza, una proposta molto conveniente, che permetterebbe all'Etiopia di lasciar perdere il vecchio MoU senza colpo ferire contribuendo notevolmente al ritorno di un maggior stato di quiete nella regione.

 

In generale, dopo i risultati del FOCAC 2024 che si sta tenendo proprio in questi giorni, dopo l'arrivo di un nuovo Presidente USA nel 2025, dopo l'offerta all'Etiopia di un porto alternativo al Somaliland da parte di Gibuti, dopo l'arrivo di truppe dall'Egitto in Somalia, dopo la mediazione fatta dalla Turchia tra Somalia ed Etiopia, dopo il passaggio in Somalia dall'ATMIS all'AUSSOM, per l'Etiopia potrebbe essere l'ora della svolta politica. L'Etiopia dovrà rivedere i suoi rapporti con gli Emirati Arabi Uniti che l'hanno finora usata come una loro testa di ponte per i loro avventurismi in Sudan e Somalia. Gli Emirati Arabi Uniti non hanno finora avuto grandi problemi ad andare a braccetto con certi precisi ambienti di USA, Francia ed Israele, giocando sulle faglie che s'aprivano grazie alle odierne tensioni internazionali per portare avanti una certa loro agenda politica parallela e concorrente agli altri attori regionali. Ma l'esito della guerra in Medio Oriente, sempre peggiore per Israele e i suoi alleati, aiuterà a sconvolgere molti di questi vecchi equilibri e si rifletterà anche nel gioco d'influenze di cui è vittima la stessa Etiopia. Gli Emirati Arabi Uniti dovranno rivedere la loro politica distanziandosi da USA ed Israele, e questo avrà un peso anche sull'Etiopia e il resto della regione, dove il ruolo degli Emirati Arabi Uniti cambierà esattamente come calerà quello di Israele e degli USA, a vantaggio ad esempio di altre grandi potenze come Cina e Russia, oltre ovviamente alle potenze locali. 

 

Questo significa che il premier etiopico Abiy Ahmed dovrà agganciarsi al nuovo status quo che sta arrivando, se non vorrà sparire col vecchio che se ne sta andando. L'offerta di Gibuti gli permetterebbe di mollare silenziosamente il vecchio MoU col Somaliland senza colpo ferire, e sempre silenziosamente e senza colpo ferire potrebbe mollare pure le RSF di Hemeti in Sudan, destinate tra non molto ad esser scaricate dagli stessi Emirati Arabi Uniti e storicamente avversate da Arabia Saudita, Egitto, Cina, Russia ed Iran. Sono due elementi chiave che servono a far ordine nei BRICS e tra alleati africani ed arabi, giacché al momento su queste vicende Etiopia ed Emirati Arabi Uniti risultano in contrasto netto con tutti gli altri loro partner BRICS, e non solo. Si noti che non è cosa da poco, perché significa che sono in contrasto netto con Arabia Saudita, Egitto, Iran, Cina, Russia, Turchia, oltre ovviamente ai loro alleati nell'area del Nilo e del Corno d'Africa come Sudan ed Eritrea. Etiopia ed Emirati Arabi Uniti non potranno tirare troppo a lungo la corda, ora che lo status quo che si delineerà dopo l'ovvia sconfitta israeliana in Medio Oriente e della NATO in Ucraina non farà sconti a nessuno. Chi finora ha seminato zizzania si ritroverà dunque ad avere in mano soltanto un pugno di mosche.
 

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