A distanza di qualche giorno, dopo aver lasciato decantare varie considerazioni circolate su molta stampa italiana e talvolta segnate da una forse eccessiva istintività, affrontiamo un argomento a cui sicuramente molti nostri affezionati saranno interessati come quello della visita di Stato della premier Meloni in Cina. Tante, lo sappiamo, erano le aspettative alla sua partenza, anche perché nell'immaginario comune i rapporti tra Roma e Pechino non sembravano al loro picco massimo: dalla portaerei Cavour inviata nel Pacifico a conforto delle politiche americane di provocazione e “contenimento” nei confronti della Cina, alla precedente uscita o non conferma all'adesione alla BRI alla scadenza del MOI firmato al tempo del governo Conte. Nell'insieme, la questione dei rapporti italo-cinesi in Italia sembrava essersi ridotta in alcuni momenti ad una sorta di derby tra tifosi di Conte e tifosi della Meloni; ma come sappiamo quando ci si dedica troppo a tifare non si trova magari adeguato tempo o volontà per analizzare.
Eppure anche in tutti questi mesi un dialogo costruttivo tra Roma e Pechino non è mai mancato, come confermato ad esempio dall'incontro della CEM (Commissione Economica Mista Italia-Cina) a Verona nello scorso aprile, a cui avevamo dedicato un piccolo saggio; seppur tenuto ad un atlantismo piuttosto rigoroso dal suo principale ed ingombrante alleato americano, il governo italiano poteva comunque ancora sfruttare diverse scappatoie per continuare a costruire e realizzare col suo importante partner cinese. Inoltre i rapporti culturali tra i due paesi, come espresso anche dai comuni festeggiamenti per quelle personalità che ne hanno avvicinato la storia (si pensi a Marco Polo oppure a Matteo Ricci), o dalle mostre artistiche e museali del proprio patrimonio storico ed artistico tenute reciprocamente, apparivano davvero molto soddisfacenti e per questo suscettibili di ulteriori potenziamenti. Tant'è che proprio dalla cultura e dall'economia il dialogo tra Roma e Pechino sarebbe stato nuovamente rilanciato ed ampliato, visto che la premier a Pechino avrebbe inaugurato la mostra dedicata ai 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo al World Art Museum col Ministro Sun Yeli e successivamente a Shanghai si sarebbe immersa in una metropoli madre delle grandi riforme che hanno caratterizzato la Cina degli ultimi cinquant'anni, oggi divenuta il più rappresentativo polo economico e tecnologico tra i tanti del paese.
Giova poi ricordare, come espresso tanto da Roma quanto da Pechino, che questo sia pure il ventesimo anno dalla firma del Partenariato Strategico tra Italia e Cina, tra gli allora primi ministri Silvio Berlusconi e Wen Jabao. Sembra quasi di parlare di un'altra epoca, in cui il mondo appariva davvero tutt'altra cosa rispetto ad oggi; eppure i tempi correvano rapidi anche allora, eccome se correvano, mentre i rapporti tra i due paesi, come già accennavamo, datavano a tempi ben più remoti. Dopotutto tanto l'Italia quanto la Cina sono per loro storia e natura due nazioni multivettoriali, per loro vocazione propense a sviluppare positivi rapporti con tutti e a patire o rifuggire, a maggior ragione se dopo lunghe forzature, da rapporti di troppa eccessiva esclusività. La storia della Cina lo insegna, col suo approccio che è sempre stato tanto verso il mare quanto la terra (si pensi all'antica come alla nuova Via della Seta: di entrambe probabilmente in Italia come nel resto dell'Occidente si sa ancora troppo poco, ed è proprio quel deficit di conoscenza a generare spesso chiusure ed incomprensioni), e pure l'Italia col suo sguardo rivolto ben oltre il Mediterraneo (dall'antica Roma ai comuni e alle signorie medievali e rinascimentali, tra grandi manifatture, banche e repubbliche marinare) esprime a proprio modo quel medesimo spirito.
Come espresso dal suo Ministero degli Esteri, non a caso, Pechino si attendeva proprio che da questa visita si potesse approfondire la storica amicizia tra i due paesi, sostenere lo spirito della Via della Seta, rafforzare fiducia e comprensione reciproche, ampliare la cooperazione su ambiti pratici e così pure gli scambi socio-culturali, come pure portare avanti le relazioni bilaterali e quelle con l'Unione Europea, in un quadro di comune impegno per un mondo più prospero, stabile e pacifico. Gli ultimi anni hanno procurato varie ed inutili incomprensioni tra l'Unione Europea e Pechino, di cui suo malgrado anche l'Italia ha fatto le spese scontando in tali occasioni tutti i suoi deficit di sovranità: si pensi alle ostilità sorte nel periodo della pandemia da Covid, che hanno oltretutto impedito un pieno sviluppo del MOI siglato nel 2019 e successivamente consentito pure ad una certa politica nazionale di archiviarlo fino al suo esaurimento; o alla guerra in Ucraina, che ancor più ha portato Bruxelles, sempre su spinta di Washington, ad aumentare molte sue distanze col proprio partner cinese, ad esempio con false accuse di cobelligeranza con la Russia nel conflitto in Ucraina, che sono servite da una parte a delegittimare gli sforzi diplomatici cinesi per dare una soluzione pacifica a quella guerra e dall'altra ad intraprendere neppur troppo nascostamente una sorta di “de-globalizzazione” tesa ad aumentar ancor più la soggezione politica, economica e commerciale dell'Unione Europea verso gli Stati Uniti.
Tuttavia un filo di dialogo era rimasto anche in quei momenti più duri, persino nel costruttivo incontro tra la premier Meloni e il Presidente Xi Jinping durante quello stesso vertice del G20 di Bali che si sarebbe più tardi concluso con un boicottaggio occidentale della proposta di pace cinese per il conflitto in Ucraina. Quel filo di dialogo, così prezioso, può acquisire oggi un ulteriore valore alla luce del grande e fruttuoso attivismo diplomatico di Pechino, che nel giro di un anno ha saputo mediare positivamente tra Iran ed Arabia Saudita portando a sanarne la storica rivalità, ha riunito nel progetto di un governo unitario Hamas ed Al Fatah oltre ad altre dodici formazioni palestinesi minori per favorire il riconoscimento dello Stato palestinese e la sua piena acquisizione di diritti all'ONU, ed fine è tornata ad apparire come prima mediatrice anche per il conflitto russo-ucraino, come attestato dalla recente visita in Cina del Ministro degli Esteri ucraino Kuleba. L'Italia ha dunque oggi in Pechino un partner imprescindibile non soltanto in senso politico, economico, industriale o culturale, ma anche e soprattutto diplomatico.
Del resto, se poc'anzi parlavamo di “de-globalizzazione” a guida americana, vien da chiedersi con quale credibilità ed ancor più quali immensi danni potrebbe esser perseguita: la Cina è per l'Italia il secondo partner commerciale al di fuori dell'Unione Europea dopo gli Stati Uniti, e le aziende italiane attive nel colosso cinese sono ad oggi più di 1600; per un paese come il nostro, che vede la PMI rappresentare il 70% del proprio PIL, non stiamo parlando certo di poca cosa. In attesa di vedere ciò che potrà saltar fuori dal calderone americano, che oggi ribolle in attesa che la rumorosa campagna elettorale tra repubblicani e democratici porti all'arrivo di un nuovo Presidente le cui politiche certamente avranno allo stato odierno sempre un impatto anche sul nostro paese, è bene che l'Italia continui a portare avanti i propri rapporti con la Cina così da renderli sempre più saldi e capaci di sopravvivere alle varie incognite di un ordine internazionale a guida americana in cui è parte ma che al contempo appare sempre più in crisi e in aperto scollamento. Sono proprio le tante e crescenti smagliature di questo vecchio ordine internazionale a permettere all'Italia d'individuare nuove opportunità per il proprio futuro e per ritrovare quella sua multivettorialità che è scritta nella sua storia e di cui non potrà mai fare a meno per evidenti ragioni storiche, geografiche e culturali. E del resto, se l'Italia ha potuto partecipare con profitto nel 2023 ad importanti fiere internazionali come la CIIE a Shanghai o la CICPE ad Haikou, dove peraltro era pure ospite d'onore, è anche perché pure allora quelle spaccature che connotano il vecchio ordine si sono sapute ben sfruttare.
Non è infatti un caso che dalla Cina la premier Meloni sia tornata con l'accresciuta convinzione dell'imprescindibilità per l'Italia di sviluppare fruttuose e crescenti relazioni bilaterali col suo grande partner asiatico. La partecipazione al Business Forum Italia e Cina il primo giorno, con l'attuale premier cinese Li Qiang, come l'incontro col Presidente Xi Jinping il secondo giorno, per discutere delle odierne ed importanti questioni geopolitiche internazionali, ha confermato alla nostra premier quanto saggio sia stato per il nostro paese il cercar sempre di mantenere aperte certe porte con Pechino, anche nei momenti che apparivano più duri. E d'altronde, come accennavamo proprio poco fa, assai difficile sarebbe stato immaginarsi diversamente: tante le correlazioni economiche, commerciali e culturali tra Italia e Cina, tanti gli scambi di studenti, le iniziative museali comuni, gli italiani in Cina e i cinesi in Italia, crescenti i viaggi di cittadini, operatori economici e turisti tra i due paesi, grazie anche alla saggia ed amichevole politica cinese di esenzione dei visti. Ovunque si guardi, si notano soprattutto tante buone ragioni per stare insieme, perché si è già insieme, anziché per dividersi.
Questi cinque giorni della premier Meloni in Cina, conclusisi con la visita a Shanghai e l'incontro coi vertici della Municipalità locale, ma soprattutto col bilancio del Piano d'Azione per il Rafforzamento del Partenariato, hanno portato dunque alla volontà e all'impegno di potenziare settori strategici come il commercio e gli investimenti, il ramo finanziario, quello sanitario, l'innovazione scientifica e tecnologica, l'istruzione, lo sviluppo verde e sostenibile, nonché gli scambi tra persone e i rapporti umani e sociali. Italia e Cina s'impegneranno dunque comunemente per un rapporto trasparente e multilaterale, che rispetti la centralità dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e delle sue regole, e renderanno più approfonditi i loro legami economico-commerciali implementando preziosi strumenti comuni come la già citata CEM o il Business Forum Italia-Cina, con un occhio in tal caso rivolto anche alla facilitazione dell'attività delle proprie imprese nei rispettivi territori e quindi a nuove riforme idonee a sostenere ulteriori progressi, ad esempio in rami come la burocrazia e la giustizia in cui Roma sconta tuttora gravi lentezze.
E' importante per il nostro paese superare non solo i limiti legati a mancate o cattive riforme del passato, ma anche le brutte memorie ereditate da alcuni momenti del passato, come quelle in parte menzionate al principio di questo saggio o ancora le poco costruttive azioni dell'allora governo Draghi, che per cinque volte pose la “golden power” contro investimenti cinesi in Italia mentre il Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) al tempo presieduto da Adolfo Urso addirittura stilò una lista di presunti infiltrati di Pechino in varie attività strategiche nazionali. Quegli approcci pregiudiziali e persino diffamatori rappresentarono forse uno dei momenti più bassi nella storia delle relazioni italiane con la Cina, che come abbiamo visto malgrado tutto non sono comunque mai venute meno: chi voleva questo, malgrado tutto il suo zelo non vi è riuscito e non vi poteva riuscire. Per giunta, come riconosciuto dalla stessa premier Meloni, di là da tutta la campagna informativa avvelenata che è circolata in questi anni, gli investimenti cinesi in Italia sono assai bassi, inferiori alla media degli altri Stati membri dell'Unione Europea, e ben poco senso hanno a questo punto le teorie di quanti sostengano il contrario: addirittura sarebbero un terzo rispetto a quelli italiani in Cina, e ciò è certamente un motivo in più per favorirne una crescita anziché scoraggiarla. Il Piano d'Azione per il rafforzamento del Partenariato Stategico Globale Italia-Cina s'impegna per questo nell'arco del prossimo triennio a ridurre proprio tali lacune.
A precedere la visita della premier italiana in Cina, lo scorso 5 luglio, anche per meglio prepararla, era stato peraltro proprio quell'Adolfo Urso poc'anzi nominato: a quanto pare, anch'egli ritornato con diverse convinzioni in merito al paese che aveva appena visitato, analogamente sostenendo la necessità di favorire ed ulteriormente sviluppare i promettenti rapporti italo-cinesi. Non ci sorprende, perché un analogo cambio di paradigma l'aveva lasciato trapelare insieme alla sua premier e ad altri membri del governo in occasione dell'avvio del Piano Mattei per l'Africa che, pur con una presentazione politica ed ufficiale in cui non mancavano termini e considerazioni risultate piuttosto discutibili (si pensi ad esempio al volerlo presentare come risposta tesa a “salvare” gli interlocutori africani e mediorientali dalla vicinanza con paesi come la Cina o ancora la Russia) nel prosieguo del dialogo con le varie parti africane coinvolte ha poi visto acquisire un maggior spessore e spirito di comprensione reciproca. Probabilmente è anche per questo che, a dispetto di certe apparenze, anche in Cina non è giudicato troppo sbrigativamente e, alla luce dell'implementazione dei rapporti bilaterali tra i due paesi, può divenire un ulteriore ed interessante strumento d'aggregazione e cooperazione italo-cinese anche nell'area mediterranea ed extramediterranea. Ma, senza correr troppo, a ciò dedicheremo a breve una più ampia e mirata analisi.