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Il riconoscimento e la normalizzazione dei rapporti internazionali dell'Emirato Islamico Afghano

2024-06-15 12:00

Filippo Bovo

Il riconoscimento e la normalizzazione dei rapporti internazionali dell'Emirato Islamico Afghano

Pochi giorni fa, la Russia ha rimosso l'Emirato Islamico dell'Afghanistan dalla propria lista delle organizzazioni terroristiche. Tale scelta risponde

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Pochi giorni fa, la Russia ha rimosso l'Emirato Islamico dell'Afghanistan dalla propria lista delle organizzazioni terroristiche. Tale scelta risponde certamente ad un realismo politico, consistente nella volontà di riconoscere l'evoluzione degli equilibri politici nell'Asia Centrale adattandovisi per trarne le migliori possibilità; ma al tempo stesso costituisce anche un importante precedente per altri Stati che a loro volta potrebbero fare la stessa cosa o la stanno già valutando. Non deve sfuggire all'osservatore come una simile mossa sia un'apripista anche per un maggiore riconoscimento dell'Emirato, propedeutico ad una sua più ampia normalizzazione dei suoi rapporti internazionali. Non a caso, il passo fatto da Mosca già da ora va a tradursi in una linea di comprensione reciproca col governo talebano, e pertanto ad una maggiore cooperazione indubbiamente essenziale sia per la sicurezza regionale che per il miglioramento delle condizioni umanitarie interne all'Emirato. 

 

Del resto, già da tempo vari paesi pionieri avevano condotto proprie azioni pilota riaprendo le loro ambasciate e consolati nel paese, e tra queste la Cina e la Russia, maggiori attori regionali e forze trainanti della SCO (l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) erano subito risultate come le prime. Men che meno deve sfuggire, parlando proprio della SCO, l'invito rivolto al governo talebano ad aderirvi come osservatore, prontamente accettato dagli interessati e che già di per sé si presenta come fondamentale tassello nella normalizzazione politica regionale ed internazionale di Kabul, così come nei principi di mutuo rispetto e comprensione in una più ampia ottica di cooperazione positiva per tutte le parti.

 

La rimozione della lista delle organizzazioni terroristiche si presenta dunque come un ulteriore “imprimatur” al governo di Kabul, e indica anche ad altri paesi come l'unica via da seguire sia quella di prendere atto con senso della realtà dell'odierno contesto e degli indubbi sforzi condotti dall'Emirato per migliorare le condizioni politiche e sociali interne, certamente non aderenti al narrato dei media occidentali che per lungo tempo hanno raccontato di un'Afghanistan ritornato coi Talebani nei secoli bui. In parole povere, indica anche ad altri paesi la linea d'abbandonare la narrazione negativa finora alimentata sul conto del governo talebano, così da favorire un maggior rispetto reciproco e procedere con più realismo a normalizzarvi i propri rapporti politici e diplomatici. 

 

Va ricordato che ciò, tra i paesi occidentali che parteciparono alla ventennale occupazione afghana nel quadro NATO-ISAF, ed in particolare per gli Stati Uniti, coincide anche con l'abbandono delle fittizie ragioni che sinora hanno giustificato la requisizione degli assets afghani all'estero, a cominciare dai tre miliardi di dollari della Banca Nazionale Afghana. La loro ostilità a ritornare sui propri passi, dunque, costituisce uno scoglio che trova pure delle motivazioni materiali e non soltanto ideologiche. Ma il percorso di normalizzazione avviato in seno alla SCO va a tradursi inevitabilmente in un indebolimento della vecchia narrazione negativa, su cui finora i paesi occidentali usciti sconfitti da quella lunga occupazione basano le proprie ragioni politiche, e in una loro crescente difficoltà a sostenerla. Non a caso, al momento, i vecchi scoop sulle inumane condizioni dell'Afghanistan talebano, che fino a qualche tempo fa inondavano i media occidentali, sono pressoché scomparsi, sostituiti soprattutto da altri temi d'attualità; ma è un silenzio che colpisce e che esprime anche un crescente imbarazzo.

 

Sebbene in Occidente un cambio di passo per le relazioni internazionali afghane appaia una prospettiva piuttosto remota, e l'erosione della ghettizzazione dell'Emirato da parte dei paesi della SCO passi sotto silenzio presso i nostri media, andrebbe comunque ricordato come gli odierni equilibri mondiali stiano conoscendo forti e continui riassestamenti, che conducono sempre più ad una marginalizzazione del vecchio ordine unipolare a guida statunitense in favore del nuovo ordine multipolare, al cui interno comprensione e rispetto reciproci si pongono come elementi essenziali per la cooperazione, la stabilità e la pace a livello globale. I due maggiori conflitti oggi in atto, in Ucraina e in Palestina, testimoniano già da soli delle importanti e continue mutazioni nei rapporti di forza internazionali, con una crescente importanza dei nuovi attori emergenti a cui corrisponde il progressivo indebolimento delle controparti occidentali in passato assai più prevalenti: senza troppa fantasia, possiamo facilmente immaginarci quali saranno rispetto ad oggi gli equilibri internazionali.

 

In sostanza ciò che converrebbe ai paesi occidentali, anziché tirarsi fuori dalla dinamica dei nuovi equilibri internazionali in via di trasformazione, sarebbe di rendersene partecipi in un'ottica di pragmatica accettazione della realtà, intraprendendo così la fruttuosa strada del mutuo rispetto e della mutua comprensione, foriere di una cooperazione vantaggiosa per tutte le parti: contrariamente a quanto creduto dai loro ambienti politici e strategici più irriducibili, proprio questo sarebbe l'unico e migliore approccio per frenare il proprio declino e migliorare la propria percezione internazionale. Vale ovviamente nel caso dell'Afghanistan, di cui dovrebbero riconoscere la volontà di condurre la propria normalizzazione politica interna ed internazionale nel rispetto dei valori culturali, tradizionali e religiosi afghani, così come nel caso di altri impegnativi confronti che stanno costando loro importanti risorse e quote di rilevanza internazionale, come quelli in Ucraina o in Palestina, o ancora nel Pacifico.

 

Dopotutto, il resto del mondo non resta fermo ad aspettare gli attori occidentali, e anche in questo caso l'Emirato afghano è un esempio calzante, visto che oltre al riconoscimento ricevuto da vari partner regionali e globali ha beneficiato anche dell'invito a vari forum politici ed economici internazionali. Un esempio potrebbe essere quello del World Economic Forum di San Pietroburgo, dove l'Emirato era regolarmente presente potendo portare a casa vari investimenti e nuovi contatti con altri paesi analogamente convenuti. Un altro ancor più significativo, e non soltanto perché maggiormente noto al pubblico occidentale, può essere quello dell'adesione dell'Afghanistan alla Belt and Road Initiative (BRI, in Italia più conosciuta come “Nuova Via della Seta”), nonché il suo inserimento nell'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), che sancisce la sua elevazione ad importante partner economico, finanziario e commerciale di Pechino, nonché il suo pieno inserimento nella vasta rete di corridoi e canali logistici eurasiatici che proprio in virtù della BRI conosce oggi una sempre più importante espansione. Oltre, ovviamente, alla sua già rimarcata integrazione nella SCO, che ne fa sempre più un importante attore per la buona salute degli equilibri regionali e macroregionali.

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