Numerosi son davvero gli attori di cui parlare, in un dramma che vede la partecipazione di tanti protagonisti, antagonisti e comparse, spesso tutti caratterizzati da un mimetismo ed una fluttuazione di ruoli tali da mandar in confusione anche i più accorti critici e spettatori. La guerra in Ucraina aveva avuto, tra i suoi atti d'esordio, anche alcuni screzi diplomatici tra Israele e la Russia: ciò era avvenuto quando il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, parlando della forte presenza di elementi neonazisti nel governo e nelle forze armate ucraine, aveva riconosciuto quanto ciò potesse sì apparir paradossale considerando pure le lontane origini ebraiche di Zelensky; ma che al tempo stesso, secondo vari studi storici ed accademici pubblicati proprio in Occidente, infine avvalorati anche da test del DNA, non fosse stato diverso neanche per Adolf Hitler, capo del nazismo tedesco e primo responsabile dello sterminio di sei milioni di ebrei in tutta Europa, e cittadino austriaco di lontana discendenza ebraica. La tesi, nonostante tutti gli accertamenti, continua ancora ad apparire controversa, ma di certo se in quel momento Lavrov mirava a toccare un nervo scoperto nelle coscienze politiche occidentali, vi era riuscito perfettamente. Mentre Israele, considerandosi oltraggiata, chiedeva delle immediate scuse, la reazione di Kiev e dei suoi alleati NATO era infatti ancor più infuocata.
Già a quel tempo, peraltro, si vociferava di consiglieri militari israeliani presenti in Ucraina, a sostenerne le locali forze armate, notizia poi sommessamente confermata dai fatti successivi, sino alle battute odierne, quando è giunta la notizia del loro rientro in patria per sostenere la nuova guerra contro Hamas: sarebbero al momento ben duemila gli uomini che starebbero ritornando in Israele, ad indicare una presenza che doveva certamente esser tanto folta quanto determinante. L'aiuto israeliano a Kiev, tuttavia, non si limitava soltanto a questo, come indicato anche dalla distribuzione, in verità sempre piuttosto a singhiozzo e non senza tentennamenti, di materiali e tecnologie militari di vario livello, tra i quali anche carri armati e veicoli blindati ufficialmente concessi soprattutto per controbilanciare il contemporaneo sostegno iraniano a Mosca. I tentennamenti israeliani al riguardo si spiegavano sia con la riluttanza ad aggravare i propri rapporti con Mosca, da cui proviene una sua forte comunità interna assai influente sia in Israele che in Russia come pure in Occidente, sia col timore di scoprire poi tali armi nelle mani del nemico, arabo-palestinese od iraniano che fosse, tramite il mercato nero di cui l'Ucraina per via della sua forte corruzione interna è notoria fornitrice: tesi poi effettivamente confermata proprio a partire dal 7 ottobre, con l'attacco di Hamas. Tra gli ambiziosi piani ucraini, tesi sia al rilancio economico di Kiev che alla sua trasformazione in una nuova fortezza europea, vi erano anche quelli di rendere il paese un moderno “hub militare”, copiando sic et simpliciter il modello produttivo israeliano e magari, perché no, attirando su di sé anche investimenti israeliani oltre che dei vari paesi NATO come Italia, Francia e Turchia col relativo e benefico travaso di know how.
Numerosi sono poi gli aspetti collaterali da valutare: ad esempio, se è vero che in Ucraina vi fossero dei consiglieri militari israeliani, pertanto non nella forma di veri e propri soldati regolari, come del resto avviene anche per numerosi altri combattenti di paesi NATO, e che Israele valutasse sia pur svogliatamente l'ipotesi d'inviarvi contemporaneamente anche dei propri dispositivi militari, ed il tutto non soltanto per sostenere Kiev ma anche per contrastare indirettamente Teheran, è pur vero che anche quest'ultima fosse presente con propri uomini in Siria, a sostegno sia del governo di Damasco suo alleato che degli Hezbollah libanesi altrettanto suoi alleati, e che vi sia presente tuttora. Così come è vero che, sempre in Siria, vi siano pure militari russi, in forma dichiarata ed ufficiale, con una presenza massiccia che Mosca potrebbe a questo punto ulteriormente rinforzare per elevarne il potere di deterrenza e d'offesa nei confronti proprio di Israele, la cui aviazione spesso invade proprio gli spazi aerei siriani per colpirvi obiettivi militari civili e militari, oltre che gli stessi alleati iraniani e libanesi di Damasco. Le ragioni per non aggravare eccessivamente il livello dei rapporti con la Russia, dunque, sarebbero per Israele più che comprensibili e numerose, sebbene il suo atteggiamento tanto sul campo quanto in ambito diplomatico denunci una scarsa costruttività, che sta rapidamente spazientendo non soltanto Mosca ma anche molti altri suoi interlocutori internazionali: si pensi per citare un esempio agli stracci più volte volati all'ONU in quest'ultimo mese, e non solo tra il segretario Antonio Guterres e l'ambasciatore israeliano. Israele ne ha subito approfittato per negare i visti ai funzionari ONU che volessero entrare nella Striscia di Gaza, reazione che oltretutto metteva al riparo da “occhi indiscreti” le sue responsabilità in loco, sebbene già altri ne avesse fino a quel momento colpiti; e sebbene l'intensità dei suoi attacchi sia stata tale da non sfuggire comunque agli occhi del mondo, con nuovi contraccolpi diplomatici dalla portata sempre maggiore.
Dunque, lo scontro non è da guardarsi soltanto a livello di pochi e singoli attori, visto che ne comprende tanti di neppur menzionati in questo articolo, mentre altri vi vengono menzionati solo di striscio: dalla Turchia alla Cina, dall'Egitto all'Arabia Saudita, dagli Stati Uniti all'Unione Europea, e così via. In questa sede, pareva opportuno focalizzarsi soprattutto sulla triangolazione russo-ucraino-israeliana, con tutte le ricadute e gli eventuali “corto circuiti” che ne può determinare; e, magari, anche con tutti gli altri attori che inevitabilmente si va a trascinare, sia nella forma di entità statali come la Siria o l'Iran che di entità non statali come Hezbollah. Un esempio l'abbiamo visto proprio lo scorso 29 ottobre, allorché nella repubblica caucasica russa del Daghestan, limitrofa alla ben più tristemente nota Cecenia, l'aeroporto internazionale di Machackala ha visto centinaia di persone invadere la pista nel tentativo d'assaltare, con intenzioni chiaramente ostili, un aereo della RedWings giunto da Tel Aviv. L'aereo è ovviamente rimasto chiuso finché gli agenti della Rosgvardija non hanno ripristinato l'ordine, rimediando all'insuccesso della polizia locale non riuscita nel compito, ma ovviamente tanta è stata la paura dei passeggeri quanto rapida l'attenzione giunta sia da Kiev che da Gerusalemme e Tel Aviv.
Se era più che comprensibile l'interesse di Israele per i propri cittadini, più improbabile era invece quello del governo ucraino, che tuttavia s'è prontamente sostanziato in un'accusa di “antisemitismo latente” delle istituzioni russe. Forse quello di Kiev era soprattutto un tentativo di far passare l'idea che tanto Israele quanto l'Ucraina combattano contro lo stesso nemico ed il suo antisemitismo, di conseguenza implicando che non si possa aiutare l'una senza aiutare anche l'altra, e che entrambe debbano sostenersi a vicenda: non a caso, anche in pieno conflitto tra Hamas ed Israele, i corteggiamenti di Zelensky a quest'ultima non si sono mai fatti mancare, e sono stati espressi a più forma e a più titolo. In fondo, oltre al sostegno degli alleati NATO, che l'ha talvolta tenuto sulle spine, il presidente ucraino mira anche a quello della stessa Israele, ingolosito dalle sue sofisticate tecnologie militari. Da Mosca però giungeva nel frattempo, tramite la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, l'accusa che l'assalto all'aereo fosse stato orchestrato proprio da Kiev, tramite i suoi basisti nel paese, molti dei quali individuati tra i manifestanti arrestati: tra costoro, anche un soggetto già da tempo ricercato per attività antirusse in concerto con l'Ucraina e i paesi NATO. Vien davvero da pensare che in una tanto delicata triangolazione il “corto circuito”, se non sia vicino, sia allora già avvenuto.