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Ad otto giorni dalla caduta di Damasco, il comunicato di Bashar al-Assad. Una lettura approfondita

2024-12-17 18:43

Filippo Bovo

Ad otto giorni dalla caduta di Damasco, il comunicato di Bashar al-Assad. Una lettura approfondita

Ad otto giorni della caduta di Damasco e della Repubblica Araba di Siria nelle mani dei gruppi islamo-fondamentalisti guidati da Hay'at Tahrir al-Sham

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Ad otto giorni della caduta di Damasco e della Repubblica Araba di Siria nelle mani dei gruppi islamo-fondamentalisti guidati da Hay'at Tahrir al-Sham, l'ex Presidente siriano Bashar al-Assad è tornato a farsi vivo con un lungo e vago comunicato apparso negli ex canali social della Presidenza siriana, ancora nelle sue mani e a quanto pare anche unico unico modo a sua disposizione per comunicare col pubblico. Più precisamente, gli ex canali su Facebook e Telegram, essendo quello su X non più aggiornato dal 2 dicembre pur mantenendo ancora il vecchio logo baathista. Ad ogni modo, per quanto potesse essere ormai attesa e pure dovuta una sua pubblica dichiarazione, le parole dell'ex Presidente siriano oltre ad alcune conferme destano anche delle interessanti sorprese: qua cercheremo d'elencarle, dandone una quanto più possibilmente approfondita lettura. Innanzitutto, come espresso dall'ex Presidente che così spiega anche la tardività di questo suo comunicato, non vi erano stati altri modi per poterlo rendere pubblico: né media né altri canali ufficiali avevano dato una loro disponibilità ad accoglierlo, o meglio ancora a farlo parlare. Ciò spiega anche la vaghezza del comunicato stesso, che evidentemente tiene conto della scomoda situazione d'esiliato in cui il suo autore si trova, puntando alla capacità d'analisi del lettore per poter arguire quanto non è stato possibile esprimere alla lettera. L'ex Presidente sa di rappresentare pur sempre uno scomodo ospite anche per chi attualmente l'ha accolto dandogli la protezione umanitaria: presto sulla sua testa potrebbe pendere un mandato d'arresto internazionale, voluto dal nuovo Governo siriano come da altri (ad esempio Israele, oltre agli USA, all'UE o alla Gran Bretagna), e la cordiale neutralità che Mosca intende pur sempre mantenere tanto coi nuovi governanti di Damasco quanto con quelli di Tel Aviv potrebbe a maggior ragione porlo in una condizione d'ulteriore fragilità. 

 

Non è un mistero che, pur riducendo momentaneamente il suo impegno nelle basi in Siria, la Russia non miri ad abbandonarle in toto e che già sia in avanzate trattative coi nuovi governanti siriani per potervele mantenere a tempo indeterminato, mentre pure i rifornimenti di grano russo ad oggi sospesi potrebbero ugualmente ritornare nelle disponibilità della popolazione locale. Un mercantile russo è fermo in acque internazionali, davanti alla Siria, e i nuovi governanti siriani hanno certamente un grande bisogno di quello come di tante altre forniture per evitare che il paese, o quantomeno la parte che effettivamente controllano, possa presto sfuggire dalle loro mani: per la Russia Damasco è oggi un interlocutore ben più debole e malleabile di quanto non lo fosse con un suo storico alleato come Assad, e ciò le permetterà di mantenervi sempre una mano oltretutto con minori oneri politici e vincoli contrattuali. Dopotutto per la Russia la Siria è irrinunciabile perché, come diceva la Zarina Caterina II, è “la chiave del Caucaso”, e mantenervi un controllo è essenziale per la sua sicurezza nazionale: altrimenti nel 2014 Mosca non sarebbe scesa in campo per salvare Assad dai bombardamenti che l'Amministrazione Obama intendeva fare agitando il capo d'accusa delle armi chimiche, e l'anno successivo per inchiodare al suolo il Califfato nella sua rapida avanzata su Damasco. Già questo insieme d'elementi fa capire che nella Siria di oggi vi sarà un forte lavoro di taglia e cuci, che vedrà molti dei nuovi “liberatori” affiliati ad ISIS e ad al-Qaeda frettolosamente riciclarsi in leader moderati e piuttosto passivi coi loro grandi partner internazionali, come avvenne nell'Iraq del dopo Saddam, mentre poco cerimoniosamente rotoleranno le teste d'altri meno disponibili e soprattutto bellicosi verso gli obiettivi sbagliati: il lavoro di concerto del trio di Astana, formato da Russia, Iran e Turchia, sarà in questo senso tanto massiccio quanto il più delle volte sottotraccia. Quanto ai rapporti tra la Russia ed Israele, invece, non va dimenticata la forte influenza delle comunità ebraiche russe fortemente presenti tanto nell'uno quanto nell'altro paese, e che costituiscono un forte collante reciproco. Non è soltanto un mero aspetto “demografico”, dato che gli esponenti di queste comunità coprono ruoli essenziali nel mondo politico, economico e culturale in Russia come in Israele, paese dove oltretutto la gratitudine verso quanto svolto dall'Armata Rossa per la sconfitta del Terzo Reich non è mai stata messa in dubbio come invece avvenuto in Europa. Pur sostenendo la causa dello Stato palestinese, e portando avanti la sua stretta alleanza con Teheran, Mosca non vede certo Israele come un nemico e mira al contrario a rivestire in futuro un ruolo di strategico ed irrinunciabile mediatore.

 

Giungendo invece ai contenuti veri e propri della sua dichiarazione, questi sono gli elementi che non devono sfuggire all'attenzione di un suo lettore: innanzitutto, come espresso più o meno chiaramente in vari punti del testo e soprattutto nelle ultime righe, che Bashar al-Assad considera ormai il suo ruolo di Presidente del tutto venuto meno: non rivendica dunque a sé, non certo per il momento, un'esistenza ancora formale o in termini di diritto della fu Repubblica Araba di Siria, di cui implicitamente riconosce quindi la scomparsa. Questo realismo tuttavia non lo porta ad esprimersi, come già dicevamo, a mani libere, ma al contrario misurando con grande accortezza il peso e il senso delle sue parole. Continuando poi nella lettura, lascia ben trapelare che vi sia effettivamente stato un ordine sovranazionale nel provocare la rapida fine del suo governo, dovuto ai Generali e ai vertici militari del paese che, evidentemente corrotti dall'esterno o in comunque in complicità con poteri esterni, avrebbero dato la resa ad Hay'at Tahrir al-Sham mettendo davanti al fatto compiuto sia i rinforzi russi, iraniani e di Hezbollah, che lui stesso. Di conseguenza sarebbe stato tradito con quello che legalmente potremmo definire come un golpe o un'insubordinazione, perché sempre dalla lettura si può facilmente comprendere che ben altre fossero le sue volontà: combattere fino all'ultimo per bloccare gli aggressori piovuti da Idlib fino alle porte di Damasco dopo aver conquistato Aleppo, Hama ed Homs, proprio come intendevano fare i suoi alleati russi, iraniani e sciiti libanesi. In tal senso, molte conferme di una simile dinamica sono già affluite nei giorni scorsi, ad esempio con testimonianze dei combattenti delle ex Forze Tigre, reparti scelti dell'Esercito Arabo Siriano e fedeli al Presidente nel frattempo datisi alla macchia per riorganizzare la resistenza: ad Homs, sia loro che i combattenti di Hezbollah giunti per combattere avevano ricevuto l'ordine di lasciare le loro posizioni ed andarsene, perché sarebbero stati sostituiti dalla 4a Divisione Meccanizzata, già ampiamente debilitata e demoralizzata, e notoriamente tra le più inquinate a partire dai suoi vertici dalla corruzione. Subito dopo aver preso le posizioni dei Tigre e degli Hezbollah, gli uomini della 4a Divisione le avevano pacificamente cedute ai miliziani di Hay'at Tahrir al-Sham, come da ordini ricevuti dai comandi, per darsi poi semplicemente alla fuga. Proprio queste dinamiche avevano diffuso nei Tigre e negli Hezbollah, testimoni dell'accaduto, la convinzione che i vertici militari siriani agissero in intelligenza con poteri esterni, disobbedendo agli ordini governativi. 

 

Nonostante la grande ed intuibile confusione che a quel punto regnava nel paese, precipitandone a terra le istituzioni, si comprende stavolta a chiare lettere che Assad abbia comunque tentato anche dalla base russa di Latakia, dove aveva trovato rifugio, di proseguire la lotta in piena concordanza con gli alleati russi. Questo almeno finché gli stessi russi, visti i ripetuti attacchi a mezzo di droni che minacciavano la sicurezza dell'intera base, non hanno ricevuto l'ordine d'effettuare un'evacuazione che valeva per tutti i suoi occupanti, lui compreso. In questo resoconto l'aspetto degli attacchi condotti dai droni colpisce più di molti altri, anche perché mai ne era stato parlato in precedenza: le notizie ufficiali erano che, nella loro facile e vittoriosa marcia su Damasco, i miliziani di Hay'at Tahrir al-Sham e delle altre sigle non avessero praticamente mai colpito gli obiettivi russi, proprio allo scopo di non farseli troppo nemici. Tuttavia, nelle giornate precedenti, e praticamente fino a quel momento, l'aviazione e i rinforzi russi di terra avevano combattuto nelle aree intorno ad Aleppo contro di loro, spesso anche in appoggio alle forze curde delle Syrian Defense Forces (SDF), e quindi tra le due parti non vi era certo neutralità: come alleati di Assad, al pari degli iraniani e degli sciiti libanesi il loro ruolo era di contrastarne l'avanzata su Damasco, non certo d'assistervi passivamente. Del resto, anche lo stesso ex Presidente siriano ribadisce nelle sue parole che, fino a quel momento, nonostante il caos emergente nel paese, il quadro era ancora quello di lottare fino alla fine, non contemplando pertanto altre possibilità. Gli attacchi coi droni su Latakia, di conseguenza, implicitamente confermerebbero che non ci fosse alcun accordo sotterraneo od informale tra i russi e gli uomini di Hay'at Tahrir al-Sham, o quantomeno che non vi fosse fino a quel momento. Dato l'ordine d'evacuazione, Assad avrebbe a quel punto seguito i russi praticamente fino a Mosca, dove sarebbe poi ufficialmente apparso diverse ore dopo. Come espressamente dichiarato nella sua lettera, nessuno, men che meno tra di loro, gli avrebbe mai detto o consigliato di dimettersi; pertanto, il suo parlare da ex Presidente dipenderebbe solo da una sua al tempo stesso realistica e fatalistica presa d'atto della fine della Repubblica Araba di Siria, praticamente venuta meno insieme al suo ruolo di guida. 

 

Sebbene in questa sua lettera l'ex Presidente già anticipi che un più accurato resoconto seguirà in futuro, e che certamente vi saranno molti più elementi rivelatori, numerosi dubbi continuano comunque ad aleggiare, alimentati anche dalla sua stessa attesa. Ad esempio, chi ha comprato i Generali e i vertici del potere militare siriano? Solo tre giorni prima, Assad aveva ricevuto dagli Stati Uniti e dagli Emirati Arabi Uniti la proposta di una revoca graduale delle sanzioni internazionali e di una fine dell'aggressione da parte di Hay'at Tahrir al-Sham se solo avesse accettato di far uscire la Siria dall'Asse della Resistenza formato con Iran ed Hezbollah. Anche il Qatar, che proprio in quei giorni ospitava i vari partner di Astana, aveva soprattutto in passato sostenuto quella linea che nel quadro attuale si sarebbe tradotta soprattutto in un immenso regalo ad Israele per la sua aggressione al Libano e ad Hezbollah, nonché in un grande favore geopolitico anche per gli Stati Uniti e i partner occidentali. Giorni dopo, commentando la notizia della sua caduta, l'emiro qatariota al-Thani avrebbe espresso il proprio rammarico per il rifiuto che Assad aveva dato alla sua proposta di farsi da parte ancora diversi anni prima perché in ultimi analisi ciò avrebbe risparmiato alla Siria immensi lutti e vani sacrifici. Ma, sempre a Doha, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva pure detto che dietro ad Hay'at Tahrir al-Sham vi era una regia da ricercarsi tra Stati Uniti, Inghilterra ed Israele, escludendo pertanto in modo reciso le responsabilità di altri paesi come la Turchia che in molti invece ponevano sul banco degli imputati e che invece al pari dell'Iran per la Russia costituiva uno dei pilastri della Piattaforma di Astana. Lo stesso, ancor più nel dettaglio, Lavrov aveva del resto detto anche nella sua virale intervista condotta dal giornalista americano Tucker Carlson. Il giro di responsabilità intorno all'aggressione alla Siria e alla corruzione con cui è stato operato il golpe finale, con cui i suoi alti comandi militari hanno letteralmente dato ad Hay'at Tahrir al-Sham le chiavi del paese, andrebbe dunque cercato tra Stati Uniti, Inghilterra, Israele ed Emirati Arabi Uniti. Le forti correlazioni e complicità che già legano insieme questi paesi anche in altre partite geopolitiche, dal sostegno alle Forze di Supporto Rapido nella loro guerra civile in Sudan alla nuova corsa al riconoscimento del Somaliland separatista dalla Somalia, ne indicano del resto la più che stretta e rodata affinità su numerose visioni strategiche comuni, di portata multiregionale.

 

.Un altro elemento ancora su cui qualche curiosità continua a rimanere, è infine quello relativo alle sorti future della stessa Resistenza: Assad non parla, ma è certamente persona abbastanza informata da poter dire la sua, seppur con la dovuta cautela. Esattamente come già espresso giorni fa in pubblico dall'Ayatollah Khamenei, la partita in Siria è da considerarsi tutt'altro che chiusa: vi saranno altri movimenti, novità che porteranno ad una lotta popolare contro i suoi attuali, nuovi governanti. Del resto, si sa pure che le unità più combattive dell'ormai disciolto Esercito Arabo Siriano, in parte riparatesi sugli impervi Monti Alauiti ed in parte oltre le frontiere libanese ed irachene, non intendono affatto gettare la spugna e si stanno riorganizzando con le altre forze sciite locali. Difficile sapere se Assad potrà avere un ruolo in tutto questo, visto che in questo momento non parrebbe affatto rivendicare a sé nulla del genere; ma di certo quanto espresso anche dagli altri elementi della Resistenza, da Hezbollah agli Houthi che hanno nuovamente ribadito l'intenzione di fornir loro appoggio, così come dalle Guardie di Mobilitazione Popolare irachene e dall'Iran, fa capire che per la Resistenza vi sarà un futuro di riorganizzazione e rimodulazione, non certo di smobilitazione od archiviazione. Neanche in futuro, in quella che non è più e che mai del resto è stata una sola partita regionale, i riflettori sulla Siria saranno destinati a non spegnersi. 

 

 

 

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