
Il 1 Ottobre la Repubblica Popolare Cinese ha festeggiato il suo 74esimo Anniversario. Era stato infatti proprio in quel giorno, nel lontano 1949, che il Presidente Mao Zedong ne aveva proclamata la fondazione, dagli spalti della Città Proibità di Pechino, rivolgendosi al popolo e ai militari cinesi usciti vittoriosi dopo i sacrifici di una lunga guerra rivoluzionaria e di liberazione. L'evento tenutosi questo 1 Ottobre, certo, appare coreograficamente ed organizzativamente assai lontano da quello di 74 anni fa: il lettore può giudicarlo personalmente, guardando per esempio alcune delle immagini diffuse dall'agenzia nazionale cinese Xinhua e confrontandole con quelle del passato. Questo anniversario, come i precedenti, testimonia davvero quanto la Cina sia cresciuta nel corso degli anni, divenendo una grande potenza non soltanto sempre più ricca ed influente nel mondo, ma anche enormemente tecnologica, con grandi colossi industriali e scientifici che ne sono un indubbio vanto nazionale; per non parlar poi della vittoriosa lotta alla povertà, che ha permesso di emancipare da questa drammatica condizione ben 700 milioni di persone, come da dati ONU. Non era intuibilmente questa, la situazione che si presentava dinanzi agli occhi dei nuovi dirigenti cinesi in quel lontano 1949, ma intanto un primo e decisivo passo era stato compiuto.
Per la prima volta, dopo il “Secolo delle Umiliazioni” iniziato a metà dell'Ottocento con le due Guerre dell'Oppio, scatenate dall'Inghilterra, e i conflitti successivi che avevano visto il coinvolgimento anche di altre potenze ostili, la Cina ritornava ad essere unita e libera dalle dominazioni straniere. I sacrifici nel frattempo vissuti erano stati enormi, se pensiamo che nel corso dei decenni l'ormai ex Impero aveva conosciuto diverse occupazioni militari, con relative cessioni territoriali e condizioni sempre più umilianti ed onerose. Dopo la Rivolta dei Boxer, la “Alleanza delle Otto Nazioni” (Austria-Ungheria, Russia, Francia, Inghilterra, Italia, Germania, Giappone e Stati Uniti) era giunta a spartirsi letteralmente il paese col riconoscimento di veri e propri presidi coloniali ed aree d'influenza interna ancora più vaste, mentre l'ultima dinastia imperiale, quella dei Qing, si trovava ormai sull'orlo del collasso. La caduta dei Qing, con la Rivoluzione Xinhai portata avanti dal rivoluzionario democratico Sun Yat-Sen e la nascita della prima Repubblica di Cina nel 1911, non era riuscita a sanare una situazione tanto grave pur ponendo già le prime indicazioni su come il paese avrebbe potuto risollevarsi: recuperando completamente la propria sovranità ed operando profonde riforme interne, ovvero, date le presenze straniere, la perdita dell'unità nazionale e quel che il passato imperiale aveva lasciato in eredità, incamminandosi lungo un percorso che poteva essere soltanto rivoluzionario.
Successivamente la Seconda Guerra Mondiale coinvolse il paese, che aveva già conosciuto le divisioni interne operate dai “signori della guerra” a seguito della caduta dei Qing, i primi contrasti tra i comunisti di Mao Zedong e i nazionalisti di Chiang Kai-Shek e le invasioni giapponesi degli Anni ‘20 e ’30. Solo quest'ultime si tradussero in drammatici fatti come il Massacro di Nanchino, costato la vita a 300mila civili in base a stime molto prudenziali (le vittime potrebbero infatti essere molte di più, sebbene in Giappone tuttora si punti a parlare di non più di 150 o 190mila morti, mentre addirittura alcuni nazionalisti si danno al negazionismo affermando che mai sia avvenuto nulla di tutto ciò), le Unità 731 dove venivano sviluppate armi chimico-batteriologiche utilizzando prigionieri cinesi come cavie (anche in questo caso, il dato delle tremila vittime è ritenuto fin troppo prudenziale e pertanto contestato), o ancora le “comfort women”, schiave sessuali per i militari giapponesi (in questo caso, seppur con numeri sempre molto dibattuti, si parla di almeno 200mila donne, giovani e giovanissime, obbligate ad uno status di schiavismo e prostituzione). La vittoria nel 1945, con l'espulsione delle presenze straniere e dei loro collaborazionisti, costò al paese quasi venti milioni di morti, tra militari e civili, a cui vanno oltretutto aggiunti quelli delle varie carestie interne venutesi a generare per colpa del permanente stato di guerra: tutti numeri, tanto per le vittime del conflitto quanto delle carestie, che pure in questo caso potrebbero facilmente essere ulteriormente rivisti verso l'alto (secondo lo storico Rudolph J. Rummel, per esempio, facendo tutti i conti le vittime sarebbero addirittura 37 milioni).
Successivamente la guerra civile, dal 1945 al 1949, tra i comunisti del PCC di Mao Zedong e i nazionalisti del Kuomintang di Chiang Kai-Shek, con la vittoria dei primi e la fuga dei secondi nell'isola di Formosa, o Taiwan, ultimo lembo di territorio cinese che da quel momento avrebbero ancora ufficialmente controllato, grazie anche alla protezione militare americana. Tutti gli altri territori a quel tempo ancora in mani straniere sono ritornati a casa, da Hong Kong nel 1997 a Macao nel 1999, continuando ad espandersi e a prosperare ancor di più con Pechino in virtù della brillante formula di “uno Stato, due Sistemi”, che il successore del Presidente Mao, Deng Xiaoping, formulò insieme alle politiche di riforme interne che, seguite ed aggiornate poi da Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping, hanno oggi reso la Cina la principale potenza economica internazionale. Solo Taiwan, dunque, resta ancora fuori dalla madrepatria, sotto la cui sovranità tuttavia ricadrebbe come da diritto internazionale; e ciò dà luogo ad una davvero singolare questione giuridica e diplomatica, poiché gli stessi paesi occidentali, ed in primo luogo gli Stati Uniti, pur riconoscendo il principio di “una sola Cina” e quindi l'appartenenza di Taiwan a Pechino, al tempo stesso anziché operare perché tale diritto da essi sottoscritto sia applicato fanno sì che avvenga il contrario, fornendo una sorta di “protettorato” militare alle autorità di Taipei.
Ma anche questa stortura passerà e con essa la frattura che tiene artificialmente divise le due coste dello Stretto di Formosa, permettendo così a Taiwan di “ritornare a casa”. L'attuale governo taiwanese del Partito Democratico di Tsai Ing-Wen, che ha sempre spinto per un indipendentismo a tutti i costi, è ormai prossimo a concludere il proprio mandato in una situazione di malcontento interno generale, e a gennaio del prossimo anno le elezioni potrebbero riservare un vincitore dalle posizioni ben diverse; mentre il vecchio Kuomintang, che apertamente rifiuta la linea indipendista, è oggi piuttosto lontano dall'epoca di Chiang Kai-Shek. Non ci vorrà molto, ma un giorno ci sarà un anniversario in cui la Nuova Cina si sentirà ancora più unita ed insieme di oggi.